martedì 8 gennaio 2008

Capitolo 9-famiglia e matrimonio


Discussione al forum di sociologia

la fine del patriarcato è segnata da un maggiore
pratogonismo sociale della donna nel lavoro,
nell'istruzione, in politica ecc. Un ulteriore
indicatore empirico ci è offerto dal pluralizzarsi delle
forme familiari: non solo matrimoni ma anche convivenze.
Inoltre i nuovi movimenti dei diritti delle minoranze,
come quello gay, reclamano un riconoscimento pubblico
dei legami affettivi che si instaurano tra persone dello
stesso sesso. Come la sociologia può interpretare questi
fenomeni?



Grazie a lunghi periodi di lotte,la donna è riuscita a conquistarsi la propria autonomia ed una sua parte nella società;ciò ha avuto conseguenze di grande portata,tra cui,appunto,la fine del patriarcato,cioè la forma familiare caratterizzata da una forte autorità maschile e da una netta separazione dei ruoli.

Uno degli aspetti che maggiormente sono discussi oggi,è la convivenza come sintomo di una crisi della famiglia tradizionale.Inoltre i nuovi movimenti dei diritti delle minoranze,come quello gay,è sempre più al centro di dibattiti accesi.

La sociologia può spiegare questi fenomeni attraverso due punti cruciali:

In primo luogo esse si presentano come ‘unioni sperimentali’ che nascono come una forma di reazione alla crescente instabilità coniugale.
In secondo luogo nascono spesso come esigenze delle donne per avere maggiori spazi di libertà per l’attività extradomestiche e per mettere in discussione la tradizionale divisione di genere del lavoro.


Approfondimento

Critica della famiglia

Gli studi di Lewis H.Morgan sulla storia della famiglia
L'evento che certamente ha dato l'avvio alla critica moderna della famiglia è un libro "La società antica" scritto nel 1877 da Lewis Henry Morgan che viene considerato il fondatore dell' antropologia americana.Questa pubblicazione è la risultante di una accurata ricerca a cui dedicò oltre quarant'anni della sua attività di studioso della preistoria e delle istituzioni sociali.A quel tempo la teoria dell'evoluzione era appena stata enunciata da Darwin e Morgan fu uno dei primi che l'applicarono agli studi antropologici.

Da Morgan a Engels: la famiglia patrilineare è funzionale alla proprietà privata
L'etnologo russo Maxim Kovalevsky tornando dagli Stati Uniti in Inghilterra portò con sé una copia del libro di Morgan al suo amico Karl Marx perché ne prendesse visione.Marx ed Engel si mostrarono subito interessati a questa pubblicazione in quanto ritennero che Morgan aveva applicato alla preistoria dell'umanità e alle società antiche lo stesso metodo dialettico (materialismo storico) applicato da loro alla moderna società capitalistica.Anni dopo, morto Marx collaboratore principale nell'elaborazione della scienza della rivoluzione, Friedrich Engel pubblicò le comuni riflessioni sull'argomento in uno scritto "L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato" apparso nel 1884 e poi in una edizione riveduta nel 1891 qualche anno prima della sua stessa morte.La tesi fondamentale è che anche le istituzioni sociali fondamentali come la famiglia non sono immutabili, tesi questa che da loro un'alone di sacralità ma che la storia della vita sociale umana non convalida in quanto anche tali istituzioni hanno subito trasformazioni nel tempo e presumibilmente quindi è da prevedersi che ne subiranno ancora.Più nel concreto Engels sulla scia delle ricerche antropologiche del Morgan individuò una prima cesura a livello di storia dell'istituzione famiglia nel momento del passaggio dall'epoca della società selvaggia (economia di caccia e raccolta) a quella della società civile (inizio dello sviluppo della metallurgia) che corrisponde anche al passaggio da una primitiva proprietà collettiva alla proprietà privata. A livello di storia della famiglia questi due periodi storici ben delineati corrispondono a due modalità costitutive della famiglia ben differenziate: la famiglia matrilineare e la famiglia patrilineare.

Critiche alle tesi di Morgan-Engels sulla storia della famiglia
Questa visione della preistoria umana che nega l'identificazione di famiglia con famiglia patriarcale e soprattutto che lega la famiglia patriarcale alla proprietà privata e non solo queste ricerche ma anche altre che comunque utilizzavano i metodi e i risultati di Morgan, Tylor e altri autori evoluzionisti contemporanei a Darwin, ha trovato immediate critiche in nuove correnti del pensiero antropologico come quelle che facevano capo a Franz Boas negli Stati Uniti e A.R.Radcliffe-Brown in Inghilterra.

La critica della famiglia in Teilhard de Chardin
Con Teilhard de Chardin la critica della famiglia non è rivolta più a questa o a quella forma di famiglia ma alla famiglia in sé in quanto coglie che dal punto di vista della natura e di ciò che nella natura è la vera vita, cioè l'evoluzione, ciò che è destinato a rimanere è la coppia mentre la famiglia è stato solo un espediente della natura per come dire "guadagnare tempo" in attesa di una maggiore maturazione della specie. Quindi se da un lato può apparire questa posizione - paradossale a dirsi in quanto Teilhard è rimasto fino alla morte legato testardamente alla Chiesa Cattolica che da parte sua non gli ha certamente reso la vita facile - ancor più radicalmente critica della famiglia di quegli stessi critici come Marx ed Engels è anche perché in una epistemologia materialista, come quella dei due allievi di Hegel, che non può vedere lo spirito come scopo e fine della storia questo estremismo nella critica della famiglia appare come un non senso. Solo l'amore portato all'eccesso per lo spirito e per l'evoluzione ha mosso lo sguardo scientifico e profetico di Teilhard a vedere oltre la non più essenzialità della stessa struttura sociale familiare per portare avanti l'evoluzione. Ma quì già ci muoviamo nell'ambito dei tempi lunghi dell'evoluzione anche se Teilhard poi non credeva che questi più ragionevoli tempi lunghi ormai che siamo già giunti alle soglie del trionfo dello spirito sarebbero più stati ancor per molto tempi lunghi.A parte questo anche la visione evoluzionistica di Teilhard concorda nel ritenere che l'avvenire ddell'evoluzione umana è di una maggiore socializzazione e non come in Max Stirner o Nietzsche in uno sviluppo estremo dell'individualismo che ponga questi sempre più estranei a chi ancora si confonde con la coscienza collettiva e che quindi non è ancora nato come individuo. L'avvenire dell'evoluzione è dato dal fatto che più socializzazione corrisponda e meno alienazione, detto in altri termini che l'essenza umana sta proprio nella sua natura relazionale per cui l'uomo astratto non esiste poiché l'essere umano è una relazione, sempre. Questo per dire che in Teilhard lo spirito non è una fredda astrazione ma è quella forza erotica con le stesse caratteristiche della forza gravitazionale descritte da un Newton e poi da Albert Einstein che unisce i tanti atomi umani in un'unica mente sociale che giunta ad una soglia critica è in grado di determinare la fine della storia dell'universo, quell'universo che nato dal suo frammentarsi con il big bang si è ricostituito infine in unità alla fine del mondo con il ricercarsi vicendevole dei frammenti di sè. Del resto questo era anche la verità dell'amore che il grande filosofo greco Platone ben 2400 anni fa aveva colto come essere il vero senso dell'amore e che ha fatto dire a Dante Alighieri "l'amor che move il sol e l'altre stelle" indicando il motore vero dell'universo e della sua storia: l'amore. Quello stesso amore che ha concepito la famiglia e che adesso con lo stesso amore muove verso nuove mete evolutive andando oltre la famiglia.

lunedì 7 gennaio 2008

Capitolo 8-razze,etnie e nazioni



Discussione al forum di sociologia


L'Italia è diventato un paese di immigrazione, dopo
essere stato per tanti anni paese di emigrazione. In una
società multietnica, quale deve essere l'atteggiamento
politico, culturale, personale più consoono di fronte a
questa realtà? E' auspicabile il modello pluralista
inglese, in cui ciascuno può costruirsi le proprie
chiese, scuole, circoli, ospedali e manifestare
liberamente le sue opinioni e tradizioni in pubblico (ad
es. pregare in pubblico e portare il burka) o sarebbe
preferibile il modello assimilazionista francese nel
quale la libertà assoluta è relegata nella vita privata,
mentre in pubblico tutti devono attenersi alle regole
laiche dello stato? Cioè in Francia è vietato professare
la propria fede in pubblico, è vietato portare il burka
ma anceh esporre il crocifisso, le scuole sono solo
pubbliche ecc. Cosa ne pensate?




Purtroppo l'Italia è un paese fortemente conservatore e
molto legato alla propria origine e tradizione,quindi un
modello come quello inglese non troverebbe in Italia
terreno fertile. Allora andrebbe bene il modello
francese? Neppure,perchè la politica italiana è
caratterizzata da incessanti scontri politici tra destra
e sinistra,per cui se la destra volesse introdurre una
politica simile,la sinistra farebbe di tutto per
impedirlo.Conclusione?Ci troviamo in una via di
mezzo,funestati sempre da soliti scontri e
polemiche,incapaci di prendere una decisione consona.A
mio parere l'Italia non era pronta per diventare una
società multietnica,perchè ci sono troppe idee
contrastanti tra loro, e la nostra politica più che
mettere ordine crea ancora più disordine e
disorientamento tra la popolazione. D'altronde non solo
in Italia vi è la difficoltà di convivere con altre
culture,ma anche in altre parti del mondo,perchè il
forte senso di appartenenza che ogni individuo ha nei
confronti del proprio gruppo impedisce di vedere l'altro
in maniera oggettiva,sentendosi minacciato dalla sua
"diversità"e di conseguenza si crea una convivenza
forzata,caratterizzata da scontri di civiltà. Il mio
punto di vista per quanto riguarda l'Italia è che le
politiche migratorie,e non solo...dovrebbero fare di
più,o meglio dovrebbero fare qualcosa. Ma è inutile dire
sempre le stesse cose,se ci troviamo in questa
situazione è perchè dall'"alto" ognuno dirige la
politica a proprio comodo.




Ralph Linton,l'Americano al cento per cento.


Non ci sono dubbi sull'americanismo dell'americano medioné sul suo desiderio di conservare ad ogni costo questapreziosa eredità. Tuttavia alcune insidiose ideestraniere si sono già insinuate nella sua cultura senzache egli si sia reso conto di quello che stavaaccadendo. Ecco dunque il nostro insospettabile patriotache indossa il pigiama. un indumento che ha originenell'India orientale, e dorme sdraiato su un lettocostruito secondo un modello originario persiano odell'Asia Minore. È coperto fino alle orecchie di stoffenon americane: cotone coltivato per la pri¬ma volta inIndia, lino coltivato in Medio Oriente, lana prodotta daun animale originario dell'Asia Minore, oppure seta, chei cinesi hanno inventato e usato per primi. Tutti questimateriali si sono trasformati in tessuti grazie a unprocedimento inventato nell'Asia sud-occidentale. Se fapiuttosto freddo può: dormire sotto un piumone atrapunta inventato in Scandinavia. Svegliandosi dàun'occhiata alla sveglia, un'invenzione medievaleeuropea, usa una forte parola latina in formaabbreviata, si alza in fretta e si dirige verso ilbagno. Qui, se riflette un momento non può non sentirela presenza di una grande istituzione americana; ne hasentite di storie sulla qualità e sulla dif¬fusione deiservizi igienici nei paesi stra¬nieri e sa che innessuno di essi l'uomo medio effettua le sue abluzioniin mezzo a tanto splendore. Ma anche qui trova traccedell'irritante influenza straniera. Il vetro fuinventato dagli antichi egizi, le piastrelle vetrificatedel pavimento e delle pareti nel Medio Oriente,laporcellana in Cina e l'arte di smal¬tare i metalli dagliartigiani mediterra¬nei dell'età del bronzo. Anche letubature e la tazza del cesso sono copie appenamodificate rispetto agli originali romani. L'unicocontributo americano a tutto il complesso è ilradiatore. In questa stanza da bagno l'americano si lavacon il sapone inventato dai Galli. Poi si lava i denti,una rivoluzionaria pratica europea che non si propa¬gòin America fino agli ultimi anni del diciottesimosecolo. Quindi si fa la barba, rito masochistico la cuiorigine risaie ai preti dell'antico Egitto e ai sumeri.Il procedimento è reso meno peno¬so dal fatto che usa unrasoio di acciaio, una lega di ferro e carbonioinventata in India o in Turkestan. Infine si asciuga conun asciugamano turco. Ritornando nella camera da letto,l'inconsapevole vittima di oscure pratiche straniereprende gli abiti dalla sedia, il cui modello è statoelaborato nel Medio Oriente, e inizia a vestirsi. Simette un abito attillato le cui forme derivano dallevesti di pelle degli antichi nomadi delle steppeasiatiche e lo allaccia con dei bottoni i cui prototipicomparvero in Europa alla fine dell'età della pietra.Questo vestito è abbastanza adatto per stare all'apertoin un clima fred¬do, ma non si addice certamente alleestati americane, né alle case con riscaldamentocentrale o alle carrozze ferroviarie. Tuttavia idee eabitudini straniere hanno asservito il poveretto, anchese il buon senso gli dice che il vero abito americano distrisce di pelle e i mocassini sarebbero molto piùcomodi. Si infila ai piedi delle calzature rigide dicuoio confezionate secondo un procedimento inventatonell'antico Egitto e tagliate secondo un modello cherisale agli antichi Greci e si assicura che sia¬noaccuratamente lucidate, anche questa un'idea greca,Infine si passa attor¬no al collo una striscia di stoffadai colori vivaci, che è un vestigio sopravvissuto delloscialle che indossavano i Croati del diciassettesimosecolo. Si dà un'ultima occhiata allo specchio, vecchiainvenzione mediterranea, e scende le scale... . Si mettein testa un cappello di feltro, materiale inventato dainomadi dell'Asia orientale e, se sta per piovere, simet¬te le soprascarpe di gomma, inventate dagli antichimessicani, e prende l'ombrello, inventato in India.Scatta via per prendere il treno, che è un'invenzioneinglese (il treno, naturalmente, non lo scatto). Allastazione si ferma un istante per comprare il giornale elo paga con delle monete inventate nell'antica Lidia. Una volta in carrozza, si sistema sul retro per fumareuna sigaretta, invenzione messicana, o un sigaro,invenzione brasiliana. Intanto legge le notizie delgiorno, stampate con caratteri che de¬ivano dagliantichi Semiti, stampati mediante un procedimentoinventato in Germania su materiale inventato in Cina. E,mentre legge l'ultimo editoriale che parla deidisastrosi risultati che l'accettazione delle ideestraniere produce sulle nostre istituzioni, non potràfare a meno di ringraziare un Dio ebreo in una linguaindoeuropea di essere al cento per cento (sistemadecimale inventato dai greci) americano (da AmerigoVespucci, nàvigatore e geografo ita¬liano). (RalphLinton, .The American Mercury», 40 [aprile 1937], pp.427-429)




Trovo davvero molto significativo questo brano;il modo ironico e veritiero con cui l'autore mette in evidenza lo stupido americanismo che oggi è molto diffuso fa riflettere parecchio.


Fa capire quanto sia stupido voler fermare a tutti i costi il fenomeno migratorio e imporre superiorità tra razze.


Fino a prova contraria ogni cultura unitamente alle proprie tradizioni,norme e valori,è frutto di "mescolamenti"culturale,nessuna cultura è fine a se stessa;quello che voglio dire è che se non ci fosserro stati i fenomeni migratori e di conseguenza gli scsmbi tra culture a quest'ora noi italiani,come altri popoli,non saremmo come siamo,per cui ritengo che voler impedire l'incontro tra popoli è come voler bloccare il mondo e la vita stessa.


Abbiamo bisogno degli altri,del diverso,anche per poterci confronatere e per avere la possibilità di allargare i nostri orizzonti.




APPROFONDIMENTO


Negli USA

Dagli inizi a Martin Luther King
L'atteggiamento di discriminazione razziale su base pseudo-scientifica fu rafforzato dalle guerre indiane, per giustificare il genocidio, protratto per decenni, delle popolazioni indiane per sottrarre loro le terre: gli indiani non erano "davvero" esseri umani, e quindi nemmeno a loro si applicavano le considerazioni "umanitarie". La conquista del continente americano portò ad un totale di morti indigeni che secondo le stime più recenti oscilla tra i sessanta ed i cento milioni [5] , di cui venti milioni durante le guerre indiane nel Nord America. Queste cifre lo eleggono tristemente come il più grande genocidio nella storia dell'umanità. L'efficienza dello sterminio indiano americano portò Adolf Hitler a citarlo come esempio pratico per la soluzione finale fin nella prima edizione del Mein Kampf (la mia battaglia), manuale e base ideologica dell'ideologia Nazionalsocialista.
Nell'America coloniale, ancor prima che la schiavitù coloniale divenisse completamente basata su basi razziali, gli schiavi di origine africana erano usati a fianco degli schiavi bianchi, di solito vincolati alla condizione servile da contratti con una scadenza determinata, in gran parte firmati per pagare le spese di trasferimento nel Nuovo Mondo. Alla scadenza di tali contratti gli europei che erano sopravvissuti recuperavano la libertà (non era previsto che i neri potessero recuperare la libertà alla scadenza di un certo periodo di tempo).
A seguito di una serie di rivolte che coinvolsero questo tipo di coloni, però, negli Usa si arrivò a fare a meno degli schiavi bianchi già nel XVIII secolo, riservando la schiavitù alle persone di origine africana, che non potevano contare, a differenza dei bianchi, di solidarietà religiose e etniche da parte di componenti liberi della società bianca dominante. In questo modo, "razza" e condizione sociale vennero a coincidere negli Usa, in modo tale che ancor oggi negli Stati Uniti è difficile separare i due concetti.
Subito dopo l'indipendenza (avvenuta nel 1776) le leggi statunitensi del 1790 sulla naturalizzazione garantivano la cittadinanza solo alle "persone bianche libere", il che significava generalmente che veniva concessa solo a coloro che erano di origine anglosassone.
Quando la popolazione americana divenne culturalmente meno omogenea, verso gli anni ’40 del XIX secolo, con l'aumento dell'immigrazione dall'Europa meridionale e orientale, negli USA si rese necessario chiarire chi fossero i "bianchi". Nacque così una suddivisione di quelli che oggi sono chiamati «caucasici» in una gerarchia di diverse razze, stabilite "scientificamente", e al cui vertice erano gli anglosassoni e i popoli nordici.
Venuta meno l'utilità economica dello schiavismo negli stati industrializzati del Nordamerica, il 1 gennaio 1863 il presidente repubblicano Abraham Lincoln abolì la schiavitù con la Proclamazione di Emancipazione (Emancipation Declaration). Gli stati agricoli del sud si confederarono a difesa della schiavitù dando inizio alla guerra di secessione americana. La schiavitù terminò nell'intera federazione con la sconfitta del sud, infine il 18 dicembre 1865 fu ratificato il tredicesimo emendamento. L'abolizione della istituzione schiavistica tuttavia rafforzò e istituzionalizzò l'ideologia razzista, e a partire dagli anni 1870, con l'affermarsi delle teorie del cosiddetto «razzismo scientifico» moltissimi stati americani introdussero leggi discriminatorie (Black Codes e leggi di Jim Crow), tra cui il reato di miscegenation (mescolanza razziale), cioè la proibizione dei matrimoni misti e delle unioni interrazziali, ed ebbe inizio il fenomeno della segregazione razziale.
Nella maggior parte degli stati segregazionisti le persone che immigravano da Portogallo, Spagna, da una piccola parte della Francia meridionale (e dalla Liguria), dall'Italia meridionale, dalla Grecia, dal Nord Africa e dal medio oriente, furono classificati diversamente dai «bianchi» e il termine «bianco» iniziò a identificare principalmente gli anglosassoni, i germanici e gli scandinavi. L'appartenenza alla razza bianca dei non-nordici (slavi, ecc.) era spesso messa in discussione. Ma erano soprattutto gli europei del sud, appartenenti alla presunta razza mediterranea, a sottostare alle condizioni peggiori, e in molti stati essi erano legalmente equiparati ai neri e privati, con diverse accentuazioni da stato a stato, dello status e dei diritti riservati ai soli bianchi. Persino gli irlandesi, a cui si attribuivano parziali origini mediterranee, erano oggetto di forte pregiudizio e discriminazione.Va però tenuto presente che in molti casi il preconcetto colpiva non tanto l'origine etnica, quanto la religione cattolica professata dagli immigrati "papisti", verso i quali la società puritana degli Usa conservava una fortissima ostilità.
Ad ogni modo, coloro che negli Usa le trovavano utili ai loro scopi accolsero e diffusero le teorie scientifiche razziste sfornate, nel XIX secolo, dagli scienziati europei per giustificare l'avventura colonialista, che caratterizzò la maggior parte del XIX secolo. Con una differenza, però. Gli europei usavano l'ideologia razzista per conquistare e sottomettere quasi esclusivamente popolazioni non europee (e il tabù in questo senso fu tale che i francesi arrivarono - sia pure dopo infinite polemiche - a decidere che gli ebrei che abitavano l'Algeria da loro conquistata erano da considerare europei, e concessero loro la cittadinanza francese, a differenza di quanto avvenne con gli "indigeni"). Al contrario, il razzismo statunitense, come detto, fu usato soprattutto ai danni di popolazioni abitanti nello stesso continente.
La mappa dell'eugenista Madison Grant nel 1916, mostra la distribuzione delle presunte "razze europee". L'Italia è divisa in due: al nord il territorio si compone della razza nordica (indicata in rosso) e di quella alpina o celtica (in verde), al centro-sud si compone della razza mediterranea (in giallo)

Negli Usa ebbe conseguenze storiche durature, negli anni 1920, la massiccia diffusione delle teorie dell'eugenista Madison Grant che saranno più tardi la principale fonte di ispirazione per le campagne di sterilizzazione forzata ed eutanasia forzata operate dal nazionalsocialismo tedesco.
La campagna ideologica di Grant raggiungerà l'obiettivo di fare chiudere le frontiere tra il 1921 e il 1924, e a partire dal 1924 di far restringere l'immigrazione dai paesi dell'est e del sud Europa, e di ostacolare quella ebraica. Questa decisione avrebbe avuto conseguenza catastrofiche durante la Shoah, nel corso della quale gli Usa respinsero caparbiamente i profughi ebrei, accogliendone per tutta la durata dell'Olocausto meno della sola città cinese di Shanghai (30.000).
A rendere politicamente possibile ciò fu il senatore del Massachusetts Henry Cabot Lodge[6], che fu tra i più fanatici sostenitori della Immigration Restriction League, che si opponeva all'immigrazione dei popoli di razza mediterranea. Cabot Lodge trovò il modo di aggirare la resistenza di coloro i quali non volevano limitare gli ingressi esplicitamente in base alla razza proponendo un escamotage: vietare l'ingresso agli analfabeti e modificare le quote di ingresso, stabilendo le nuove su quelle registrate oltre trent'anni prima, nel 1890. Con questa retrodatazione la quota complessiva d'ingresso dei mediterranei che avrebbe dovuto essere di diritto pari al 45% dei richiedenti fu ridotta a meno del 15% e tenendo conto che gli italiani erano il popolo più analfabeta d'Europa (con punte massime al sud) la quota riservata agli italiani divenne di molto più esigua. Per contro fu grandemente aumentata la quota consentita dai paesi nordici[6].
Dopo la crisi economica del 1929, con i disordini che ne seguirono e con il diffondersi del «pericolo comunista» la strategia politica cambiò, e negli ex stati confederati del sud, si adottarono teorie meno rigide, ispirate in gran parte da quelle europee. Così negli anni 1930, quando in quegli stati era ormai divenuto impossibile continuare a mantenere un così alto numero di immigrati europei fuori dalla élite dei bianchi - con il rischio peraltro di pericolose coalizioni coi neri - i segregazionisti estesero i diritti a tutti i «caucasici», gruppo razziale che includeva anche i mediterranei, e che era suddiviso in «White Caucasian» (caucasica bianca: anglosassoni, scandinavi e germanici) e «Caucasian» (caucasica). Oggi il termine «caucasico» viene esteso ad indicare indistintamente i «bianchi», tuttavia la suddivisione in «white caucasian» e «caucasian» è ancora ufficialmente in vigore nei metodi statistici di catalogazione in uso presso le istituzioni di molti stati americani.
Tutte le altre presunte razze non caucasiche invece rimasero escluse dai diritti civili per altri venti anni. Sarà negli anni 1960, a seguito delle numerose battaglie condotte dai moltissimi movimenti per i diritti civili, all'insurrezionalismo di Malcolm X e alla famosa marcia pacifica di Martin Luther King, che le leggi sulla segregazione razziale dei neri negli stati del sud verranno abolite dal governo federale, a quasi cento anni dalla loro entrata in vigore. Ciò avverrà nel 1964 con l'approvazione del Civil Rights Act e nel 1965 con il Voting Rights Act.

Membri del Ku Klux Klan utilizzano per terrorizzare le loro vittime la croce infuocata, simbolo della identità cristiana-protestante da loro rivendicata

Capitolo 7-differenze di genere e di età



Mascolinità e femminilità come dimensione cultuale di una società

In una ricerca internazionale molto estesa relativa ai valori culturali, Hoftede ha identificato un'unica dimensione culturale su cui gli uomini e le donne intervistati ( più di 40.000) discostano sensibilmente.
Analizzando le risposte alla seguente domanda: “Provate a identificare tra diversi fattori quelli che costituiscono un lavoro ideale secondo il vostro punto di vista?” trovò una polarizzazione delle risposte.

Per il punto di vista maschile erano molto importanti:
1) Il guadagno e l’opportunità di migliorarlo
2) Il riconoscimento inteso come l’ottenimento di approvazione conseguente ad un lavoro ben fatto
3) La carriera come opportunità di conquistare posizioni più elevate nella gerarchia aziendale
4) Le sfide relative ad un lavoro che dia la possibilità di misurarsi

Dall’altro lato, dal punto di vista femminile, si dava più importanza ai seguenti aspetti:

5) Lo stile del superiore gerarchico e la conseguente buona relazione che ne consegue
6) La cooperazione, intesa come stile prevalente diffuso nel gruppo di lavoro
7) La sicurezza del posto come possibilità di lavorare con la stessa azienda per un lungo periodo.

Nessuno degli altri elementi analizzati da Hofstede che sono distanza di potere, individualismo vs collettivismo, aggirare l’incertezza, mostrano una così grande differenza al maschile e al femminile come le attese relative al lavoro. In particolare gli uomini enfatizzano i punti 1 e 3, mentre le donne il 5 e il 6.

Da queste considerazioni Hofstede definisce la mascolinità e la femminilità come categorie di analisi di un contesto.
La prima la identifica con la capacità prevalente di essere assertivi, razionali e orientati al successo materiale; viceversa la femminilità di un contesto definisce il grado di empatia diffuso, la cooperazione e l’orientamento alla qualità della vita.
Queste sono delle caratteristiche riscontrabili in una realtà organizzativa indipendentemente dalla composizione di genere prevalente. Anche un contesto con molti uomini presenti può avere, per particolari motivi di formazione culturale, un orientamento femminile. Così come un contesto con molte donne può strutturare comportamenti prevalentemente maschili.

Affrontare le differenze di genere significa addentrarsi in un universo culturale.
Occorrono quindi diversi equilibri: bisogno leggere molto attentamente la realtà prima di giudicarla, bisogna soppesare con accuratezza gli eventuali stereotipi, infine bisogna evitare di appiattire le differenze.
Fatte queste premesse è molto interessante osservare come la mascolinità e la femminilità cambiano nelle diverse nazioni e, all’interno dei diversi contesti geografici, cambiano nel tempo.
Sono molte le conseguenze della visione del maschile e del femminile nelle diverse società: la divisione sociale del lavoro, il livello di condivisione del lavoro domestico, la possibilità di accedere a determinate posizioni, e così via.
Nella società occidentale spesso di tratta di sfumature. In altri contesti nascere maschi o femmine può significare molto di più: a volte la possibilità stessa di sopravvivere.

Se oggi in Occidente la donna è al pari con l'uomo non è per una naturale evoluzione della società,bensì grazie alle lotte e prese di posizione del movimento femminista.




Con il termine femminismo, in modo semplificativo, si può indicare
la posizione di chi sostiene la parità politica, sociale ed economica tra i sessi, ritenendo che le donne sono state e che tuttora sono, in varie misure, discriminate rispetto agli uomini e ad essi subordinate;
la convinzione che il sesso biologico non dovrebbe essere il fattore pre-determinante che modella l'identità sociale o i diritti sociopolitici o economici della persona;
il movimento politico che ha rivendicato e rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini e che –in vari modi- si interessa alla comprensione delle dinamiche di oppressione di genere.
Il femminismo è, di fatto, un movimento complesso ed eterogeneo, che si è sviluppato con caratteristiche peculiari in ogni paese ed epoca. Molti fattori contribuiscono a definire e ri-definire il concetto di femminismo e le pratiche politiche ad esso connesse ( ad esempio classe, etnia, orientamento sessuale). Al suo interno ci sono quindi diverse posizioni e approcci teorici, tant’è che ad oggi alcune studiose, teoriche e/o militanti femministe parlano di ‘femminismi’.
Vi sono teorie contrastanti riguardo all'origine di questa subordinazione ed in merito al tipo di percorso da portare avanti per liberarsene: se lottare solo per le pari opportunità tra uomini e donne o anche sulla necessità o meno di criticare radicalmente le nozioni di "identità sessuale" e "identità di genere, oppure per eliminare alla radice i ruoli, la subordinazione e/o l'oppressione femminili.
Il femminismo è criticato dalle correnti "antifemministe" del "movimento degli uomini".
Dal 1970 al 1980 il movimento femminista occidentale comincia a porsi obbiettivi rivoluzionari, negli Usa, in Francia, Germania, Italia, ecc. Il via viene dato, sempre negli Usa, nel 1969 dall'uscita del libro di Kate Millet, Sexual politics, portabandiera della corrente radicale del femminismo, secondo la quale i rapporti tra i sessi sono rapporti di potere e il patriarcato tuttora vigente è un sistema di oppressione contro le donne.
Negli anni anni Settanta il movimento delle donne, almeno nella sua parte maggioritaria, ha centrato le sue pratiche politiche dall'analisi della soggettività, che pure permane ancora oggi in alcuni gruppi, a un ambito sociale lottando per la conquista di più ampi diritti civili che hanno portato in Italia all'introduzione del divorzio nel 1970, alla modifica del diritto di famiglia nel 1975, all'istituzione dei consultori familiari, alla legge sulle pari opportunità, alla liberalizzazione dei contraccettivi e all'approvazione della legge che regola l'aborto nel 1978, alla costituzione dei Centri antiviolenza e alle Case delle donne.
Il femminismo ha pertanto rimesso in discussione, con un'analisi politica "a partire da sè" ( autocoscienza), tutti i settori della società, della quale contestava l'aspetto ed il carattere fortemente maschilista, ed il fatto di essere retta su discriminazioni di sesso individuando i nessi esistenti tutt'oggi tra la sessualità e i poteri.


Capitolo 6-stratificazione,classi sociali e mobilità


Stratificazione sociale: sistema delle disuguaglianze sociali di una società sotto l’aspetto distributivo delle ricompense materiali e simboliche e relazionale riguardo ai rapporti di potere esistenti tra di essi.
Strato è un insieme di individui che godono della stessa quantità di risorse o che occupano la stessa posizione nei rapporti di potere.
Lenski ha teorizzato le condizioni che favoriscono le disuguaglianze sociali: esse erano minime nelle società dedite a caccia e raccolta, sono diventate ampie nelle società orticole, più estese in quelle agricole per poi diminuire in quelle industriali. In pratica la disuguaglianza aumenta con l’aumentare del surplus produttivo economico e con l’aumentare della concentrazione del potere politico.
Teorie della stratificazione. Teoria funzionalista. La principale necessità funzionale che spiega la presenza universale della stratificazione è l’esigenza di collocare e motivare gli individui nella struttura sociale. L’esistenza delle disuguaglianze è inevitabile e necessaria al buon funzionamento della società. Non tutte le posizioni hanno la medesima importanza funzionale, alcune sono più rilevanti e richiedono capacità speciali, appannaggio di poche e limitate persone; la conversione delle capacità in competenze poi richiede un periodo di addestramento con dei costi e dei sacrifici da parte di chi vi si sottopone, sforzi questi che vanno ricompensati materialmente e moralmente.
Teorie del conflitto. Viene qui negata la funzione vitale della stratificazione a favore di una situazione di conflitto continuo tra classi.
- Marx introduce nel 1848 il concetto di classe sociale senza lasciarne una definizione formale. La base delle classi è sempre economica, il suo asse portante si trova nei rapporti di produzione e nelle relazioni di proprietà. Nella società borghese il capitale industriale è la forma più importante di proprietà ed è detenuta dai borghesi, mentre i proletari non hanno che la loro forza lavoro. Le classi di Marx sono raggruppamenti omogenei di persone che hanno gli stessi livelli di istruzione, consumo, valori, credenze, abitudini, concezione della vita. La coscienza di classe emerge solo quando la classe si trasforma da classe in sé a classe per sé, prendendo coscienza di condividere interessi.
- Weber ha elaborato una teoria della stratificazione a più dimensioni individuando le fonti delle disuguaglianze in tre sfere: l’economia (interessi materiali comuni → classi sociali), la cultura (interessi ideali comuni → ceti ) e la politica (partiti o gruppi di potere per il controllo dell’apparato di dominio). Anche per Weber la definizione di classe è legata al possesso o alla mancanza di possesso, ma il criterio di fondo per l’appartenenza è la situazione di mercato: a) del lavoro, in cui si contrapponevano classe operaia e imprenditori; b) del credito, con debitori e creditori; c) delle merci, con consumatori e venditori. Weber distingue poi classi possidenti e classi acquisitive, privilegiate positivamente o negativamente: le possidenti privilegiate positive sono i redditieri che hanno miniere, navi, impianti, terre, le possidenti privilegiate negative sono i nullatenenti, in mezzo stanno le classi medie con limitate competenze professionali e piccole proprietà. Le classi acquisitive privilegiate positive sono gli imprenditori e i professionisti di alto livello, le acquisitive privilegiate negative sono i lavoratori.
I ceti entrano nella sfera della cultura e sono comunità con lo stesso stile di vita e un forte senso di appartenenza e si distinguono per il diverso grado di prestigio di cui godono; ogni ceto esige una condotta di vita particolare adeguata alla valutazione del gruppo (onor di ceto).
Le relazioni tra classi e ceti sono complesse: alcuni ceti nascono in seno alle classi, altri le trascendono; le classi sono più eterogenee e hanno origine dalla divisione del lavoro, i ceti sono di origine etnica, religiosa o culturale e tendono a fenomeni di chiusura sociale.
- Lenski e i sociologi americani propongono il principio dello squilibrio di status per una spiegazione pluridimensionale della stratificazione sociale. In ogni società esiste una pluralità di gerarchie (di reddito, di potere, di istruzione, di prestigio) ed ognuno occupa una posizione in queste classifiche: si ha equilibrio se la persona si trova in ranghi equivalenti nelle diverse gerarchie e di squilibrio nel caso opposto (nobile decaduto, industriale analfabeta, laureato spazzino). Lo squilibrio però necessita anche di contrasto con le aspettative della società ed è causa di frustrazioni e tensioni sociali che possono provocare isolamento sociale, disturbi psicosomatici o radicalizzazione.
La società moderna è caratterizzata dall’eguaglianza di diritto per tutti i suoi membri, ma questa non è un’eguaglianza fattuale.
Classificazione di Sylos Labini: è centrata sul tipo di reddito e vede tre grandi categorie di reddito: la rendita dei proprietari fondiari, il profitto dei capitalisti e il salario dei lavoratori; a queste si affiancano i redditi misti da lavoro e capitale (lavoratori autonomi), gli stipendi degli impiegati e i redditi dei lavoratori saltuari. Da queste categorie derivano cinque classi sociali, suddivise poi in sottoclassi:
- Borghesia, formata da grandi proprietari, imprenditori, alti dirigenti e professionisti.
- Piccola borghesia relativamente autonoma, composta da lavoratori autonomi dei tre grandi settori di attività.
- Classe media impiegatizia, impiegati pubblici e privati.
- Classe operaia, braccianti e operai dell’industria e del terziario.
- Sottoproletariato, composto da coloro che sono disoccupati, quindi fuori dalla sfera della produzione.
Classificazione di Goldthorpe: si basa su due criteri: la situazione di lavoro e la situazione di mercato, la prima si riferisce alla posizione nella gerarchia organizzativa degli individui in quanto inseriti in una posizione occupazionale; la seconda è il complesso di vantaggi e svantaggi, materiali e simbolici, di cui godono i titolari dei vari ruoli lavorativi (livello di reddito, possibilità di carriera, stabilità del posto). In base alle relazioni di lavoro gli occupati si distinguono in tre grandi categorie: imprenditori, che acquistano il lavoro altrui e lo controllano, lavoratori autonomi senza dipendenti, che non comprano e non vendono lavoro, lavoratoti dipendenti, che vendono il proprio lavoro.
Tenendo conto della situazione di mercato e del settore di attività economica si giunge ad uno schema a sette classi:
I – grandi imprenditori, professionisti e dirigenti di alto livello con redditi elevati, carriera, autonomia decisionale e autorità.
II – professionisti e dirigenti di livello inferiore
III – impiegati e addetti alle vendite
IV - piccola borghesia urbana e agricola con notevole autonomia di lavoro e differenti livelli di reddito e di sicurezza
V – tecnici di livello più basso con reddito decente e discreta sicurezza di lavoro
VI – operai specializzati di tutti i settori
VII – operai non specializzati di tutti i settori.
L’evoluzione della stratificazione delle classi sociali ha vissuto un’impennata negli ultimi due secoli con il declino delle classi agricole a favore della classe operaia a sua volta contrattasi per lo sviluppo del sistema terziario e della classe media impiegatizia: questa, come le altre vende il proprio lavoro, ma non ha contatto con le cose, bensì con le persone e i simboli, ed ha bisogno di un periodo di qualificazione.
I processi di proletarizzazione e di deproletarizzazione portano, i primi, al passaggio dalla piccola borghesia al proletariato, dall’autonomia alla dipendenza, i secondi, vanno nel senso opposto.
Negli ultimi anni si assiste alla divaricazione sociale, con un aumento del dislivello tra una classe di dirigenti e professionisti e una di “Macjobs” con bassissimo livello di qualificazione, soprattutto nei servizi al consumatore, occupato da figure marginali del mercato.
Al di sotto e al di fuori degli schemi di classificazione vi sono i disoccupati, una sottoclasse costituita da persone in stato permanente di povertà e dipendenza dall’assistenza pubblica. Fra questi ve n’è una quota culturalista (ragazze madri, espulsi dalla forza lavoro, delinquenti) figlia del welfare state e della rassegnazione che ingenera; e una quota strutturalista che nasce da una debolezza di fondo dell’economia che non fornisce più un numero sufficiente di posti di lavoro poco qualificati.
Distribuzione dei redditi. Reddito è quello che gli individui ricavano da salari, profitti, rendite, distinto dal patrimonio che è costituito da tutti i beni mobili e immobili posseduti. Il coefficiente di Gini misura le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse economiche: se è uguale a 0 sta ad indicare che ogni famiglia riceve esattamente lo stesso ammontare di reddito di tutte le altre (massima uguaglianza), sennò misura lo scarto percentuale. Tale scarto varia molto di nazione in nazione, con minimi in Giappone e paesi scandinavi e massimi negli USA.
L’elevata corrispondenza (inversamente proporzionale) tra classe sociale e tasso di mortalità evidenziata nel secolo scorso non si è modificata con il miglioramento del welfare e delle condizioni sociali e sanitarie: la ragione è che persistono nelle classi inferiori stili di vita e occupazioni più rischiose e che in quelle elevate è diminuito ancor più il tasso di mortalità.
Mobilità sociale: passaggio di un individuo da uno strato, ceto, classe sociale ad un altro. Si distinguono al suo interno la mobilità:
- Orizzontale, passaggio da una posizione sociale all’altra dello stesso livello.
- Verticale, spostamento ad una posizione più alta o più bassa nel sistema di stratificazione.
- Di lungo raggio, spostamento verticale tra classi distanti tra loro.
- Di breve raggio, spostamento verticale tra classi contigue.
- Intergenerazionale, spostamento in confronto alla posizione della famiglia di origine.
- Intragenerazionale (di carriera), spostamento di un individuo nel corso della propria esistenza.
- Assoluta, numero complessivo di persone che si spostano da una classe all’altra.
- Relativa (fluidità sociale), grado di eguaglianza delle possibilità di mobilità dei membri delle varie classi; è tanto maggiore quanto meno la classe di origine esercita influenza sui destino sociali degli individui.
- Individuale, comprende tutte le forme esaminate finora.
- Collettiva, esprime i movimenti di interi gruppi rispetto a tutti gli altri gruppi sociali.
In Italia la mobilità sociale assoluta è stata molto forte negli ultimi decenni, per la contrazione della classe agricola e l’aumento di quella impiegatizia; si arriva fino al 59% della popolazione, con fenomeni generalmente a breve raggio. Negli altri paesi occidentali tali fenomeni hanno avuto ritmi e tempi diversi secondo l’entità del processo di industrializzazione, ma non vi è comunque una tendenza costante all’aumento o alla diminuzione di mobilità parallelo allo sviluppo economico.
Nei paesi occidentali vi è invece una forte mobilità intergenerazionale, anche se non vi è automaticamente un aumento della fluidità, quanto piuttosto un aumento delle dimensioni e dell’ampiezza di tali classi.



APPROFONDIMENTO:



Le caste sociali in Italia -scritto da Bruno Zarzaca







Viviamo in un sistema di caste? Temo di sì e mi spiego.
Nel 1974 esce il Saggio sulle classi sociali di Paolo Sylos Labini: un contributo alla conoscenza della società italiana del Novecento pubblicato in un momento di profonda crisi del Paese. Dopo trent'anni, mutatis mutandis, ci arrovelliamo sugli stessi problemi strutturali (torna il tema demodoxalogico della spirale della storia): Mezzogiorno, oligarchie, burocrazia, clientele, corruzione minano ancora oggi le fondamenta del sistema Italia. E torna il rischio di un conflitto civile poiché una discutibile distribuzione della ricchezza produce ancora differenti cittadinanze. All'epoca Sylos Labini individua tre grandi gruppi di classi sociali distinguendo le modalità del loro reddito: borghesia (redditieri, professionisti, imprenditori), piccola borghesia (impiegati, commercianti, agricoltori, militari, religiosi), classe operaia e sottoproletariato. Siamo più nella tradizione di Karl Marx, che guarda solo al rapporto con i mezzi di produzione, piuttosto che di Max Weber, che propone un concetto multidimensionale di classe sociale basato sulla ricchezza, il prestigio e il potere.
-Quello della stratificazione sarebbe un aspetto comune a tutte le società umane, anche se qualcuno sostiene possano esistere comunità egualitarie: così nel corso della storia, tra l'altro, l'umanità ha conosciuto la schiavitù (nelle civiltà antiche e poi in America), i ceti (nobiltà, clero, terzo stato in Europa), le caste (in India). Si tratta di raggruppamenti di fatto e di diritto dove la mobilità sociale è quasi nulla. Le classi sociali moderne, invece, in quanto raggruppamenti de facto ma non de iure, dovrebbero garantire l'uguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro appartenenza sociale.Guardando oggi alla situazione italiana, dunque, bisognerebbe parlare di caste piuttosto che di classi sociali. E l'uso del concetto di "casta" non sarebbe improprio come in altri tempi e contesti.Lo hanno utilizzato recentemente anche Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella pubblicando La casta, una documentata inchiesta sui misfatti della nostra classe politica. Solo per il marketing della Rizzoli che attribuisce (sic) l'intoccabilità dei paria ai nostri "insaziabili bramini" ricorderò che le tradizionali caste indù sono quattro: bramini (sacerdoti), ksatriya (aristocratici e militari), vaisya (agricoltori e imprenditori), sudra (servitori e operai). All'esterno di questo sistema stanno i paria, i fuoricasta (addetti ai lavori considerati impuri): sono loro gli "intoccabili". Naturalmente nell'India moderna le discriminazioni legate alle caste sono illegali, ma la stratificazione non è scomparsa e si è articolata in innumerevoli nuove caste e sottocaste.Possiamo dunque parlare di caste anche in Italia. Quella politica infatti è la più importante ma non l'unica: è quella che regola ex lege l'intero sistema e spartisce ricchezza e privilegi inverecondi tra poteri che l'ordine democratico vorrebbe separati. Così che gli interessi di politici, magistrati e giornalisti risultano scandalosamente intrecciati: sono loro la "casta dirigente" di borghesissima origine, figlia del familismo amorale studiato da Edward C. Banfield, che infesta anche imprenditoria e finanza. Poi ci sarebbero le caste intermedie, quelle delle altre corporazioni, dai notai fino ai tassisti... Qui il discorso si farebbe lungo e non esaurirebbe l'analisi del sistema delle caste che in Italia è tanto articolato quanto pernicioso: lo dimostrano le recenti tentate "liberalizzazioni" del ministro Bersani. Concludiamo allora con i fuoricasta, precari e sottoprecari le cui inumane condizioni di vita e di lavoro sono allo stesso tempo voraci germi del conflitto e impalpabile strumento di controllo.Lo scrivevo qualche anno fa in forma di blog:
Sono insopportabili i danni provocati dai terribili eventi prodotti dalla disperazione dei più contro l'incapacità dei pochi. Quei pochi arroccati a difendere inutili privilegi, giacché sotto le mentite spoglie di una democrazia formale (e irrealizzata) si consumano ignobili delitti contro l'ambiente umano, orribili misfatti a vantaggio delle stesse élite favorite dagli imperi e dalle dittature. Così il mai fluido sistema delle classi sociali si è incancrenito in caste: i confini tra le comunità umane diventano solchi, rughe di un sodalizio spinto al declino dai conflitti d'interesse, trincee sanguinose per conquistare quel che resta di un capitale che non si riproduce più in abbondanza. E la distribuzione della ricchezza è vieppiù furto perpetrato con destrezza dalle lobby affaristiche del teatrino politico. La giustizia è messa all'asta nel libero mercato: gli affari inumani richiedono leggine avverse a qualsiasi etica. Del resto, la dignità è concessa per via dinastica: chi non ha padrini è condannato all'ergastolo della precarietà. Perfino i sentimenti sono un lusso per chi non può permettersi un rifugio per l'intimità e un reddito per il futuro. La mafia del familismo liquida ogni altra speranza: sul ponte sventola bandiera ipocrita la cooptazione... Ma che bel regime democratico!
(www.tvtanic.com)
Zygmunt Bauman sostiene che la nostra è una postmodernità liquida: dissolve vecchie "solidità" come quelle religiose, specialmente con gli strumenti della comunicazione, ma mantiene saldi i rapporti di classe sostenuti dal primato dell'economia. Insomma, la stratificazione sociale resisterebbe perfino al cambio di paradigma e ancora una volta sarebbero le leggi di mercato a regolare le sporche faccende. E allora, mentre la giustizia (per chi se la può permettere) è ormai solo un punto di vista, bisognerebbe chiedersi che ruolo giochino i media - specialmente quelli mainstream - in questa strenua difesa di uno status quo indifendibile... La disinformazione sculetta e adesca in televisione come su internet: credo sarebbe utile un onesto interesse "critico" su questi temi.



Uno dei più antichi e più complessi sistemi di stratificazione sociale è il sistema castale indiano.


Le caste indiane erano raggruppate in quattro grandi categorie, dette varna ("colore"), di cui la più elevata era quella dei brahmani. A queste si aggiunse in seguito quella degli "intoccabili", così chiamata perché, secondo la religione induista, il contatto con i suoi membri faceva perdere la purezza; Gandhi, che ne sposò la causa, li rinominò harijan, "popolo di Dio". Formalmente abolito nel 1950, il sistema castale continuò a esercitare una notevole influenza, soprattutto tra le classi più basse e nelle campagne.


Caste in India
Le caste indiane erano raggruppate in quattro grandi categorie, dette varna ("colore"), di cui la più elevata era quella dei brahmani. A queste si aggiunse in seguito quella degli "intoccabili", così chiamata perché, secondo la religione induista, il contatto con i suoi membri faceva perdere la purezza; Gandhi, che ne sposò la causa, li rinominò harijan, "popolo di Dio". Formalmente abolito nel 1950, il sistema castale continuò a esercitare una notevole influenza, soprattutto tra le classi più basse e nelle campagne.

sabato 8 dicembre 2007

quinto capitolo-la religione




La sociologia non può dire nulla in merito alla verità 0 falsità delle credenze religiose,in quanto tali credenze sfuggono alla realtà empirica,tuttavia può dire molto sia sulle forme sia sui contenuti dell' esperienza religiosa come fenomeno sociale.


Per esempio in qualità di sociologa posso affermare che le religioni con forti componenti magiche hanno più successo in una relatà contadina piuttosto che urbana.


Va precisato che il sociologo,in quanto tale,deve evitare che il suo ruolo di credente interferisca con quello di studioso.Tuttavia una netta separazione non è auspicabile,poichè se la religione non fa "problema" per lo studioso come uomo non potrebbe neppure suscitare il suo interesse.Per cui è bene mantenere una distanza nè troppo grande nè troppo ridotta dall'oggetto di studio;quest'ultima potrebbe deformare l'immagine della realtà.


Sacro e Profano: "La differenziazione tra sacro e profano avviene attraverso le cose quotidiane,non in alternativa a esse.Nella maniIfestazione del sacro un oggetto qualsiasi diviene un'altra cosa,senza cessare di essere se stesso"[...]; è ciò che ha evidenziato Mircea Eliade studiando la religiosità delle popolazioni arcaiche nel saggio Il sacro e il profano del 1957.


Per coloro che hanno una esperienza religiosa tutta la natura può rivelarsi come sacralità cosmica.Si possono,cioè,avere due esperienze diverse dello stesso mondo,una di tipo sacro e una di tipo profano,e l'analisi della prima coincide con la descrizione dei caratteri universalmente posseduti dall'homo religiosus.Sempre secondo Eliade l'apparizione del sacro ha diversi effetti:


stabilisce un centro nel caos del mondo fisico,dal quale tutto l'universo viene regolato e ordinato acquistando un orientamento; pone l'uomo al centro del mondo e in comunicazione col divino;ordina il tempo attraverso periodiche feste sacre,che ritualizzano un passato mitico permettendo all'uomo di parteciparvi;consente all'uomo di concepire gli eventi naturali come simbolici,cioè come eventi dotati di un significato ulteriore che rende presente un messaggio divino.


E'attraverso il rapporto tra sacro e profano che si differenziano le varie religioni.Per esempio la magia si differenzia dalla religione proprio per il diverso rapporto tra sacro e profano.Mentre nella magia le pratiche rituali servono per chiamare spiriti e forze occulte,al fine di produrre effetti pratici nella vita terrena,nella religione il fine è di consentire gli uomini di accedere alla sfera del sacro attraverso pratiche ascetiche e mistiche,o trsmite una condotta esemplare che verrà ricompensata nella vita ultraterrena.


Possiamo dire che la religione è una credenza, o un insieme di credenze,relativa all'esistenza di un mondo ultraterreno e sovrannaturale.





E'una credenza in quanto esprime un giudizio sulla relatà che si fonda su un atto di fede,per cui si presuppone la distinzione fra credenza e conoscenza;tuttavia entrambe le categorie possono lasciare dei dubbi:nessuna conoscenza è perfetta come nessuna credenza è assoluta.


In altre parole,per dirla con un'espressione popperiana,la proposizione :"dio(o il diavolo)esiste" non è falsificabile poichè non è nè logica nè empirica, cioè riferita a qualche dato di osservazione.


Ascetismo:


Pratica di abnegazione e di rinuncia ai piaceri mondani finalizzata al conseguimento di un grado superiore di spiritualità, di intellettualità, o di consapevolezza di sé.



La pratica dello yoga può essere considerata una forma di ascetismo. Nell'ambito delle dottrine dello yoga classico il distacco dalla vita materiale e la conseguente purificazione si ottengono grazie alla meditazione: uno yogin, o praticante di yoga, medita per raggiungere la vera beatitudine, che implica una totale estraniazione dal mondo.
Misticismo:


Tendenza religiosa o spirituale a intensificare, nella vita religiosa, l'esperienza diretta del divino e del soprannaturale.
L’induismo è da annoverare tra le più antiche religioni capaci di attestare esperienze mistiche. Nella filosofia indù, e in particolar modo nel sistema metafisico del Vedanta, la soggettività (atman) si identifica con il sé universale, o brahman: nel Vedanta si sostiene che l’apparente separazione e singolarità di individui ed eventi costituiscono un’illusione (in sanscrito, maya) o una commistione di pensiero e sensazione, che è superabile grazie alla comprensione mistica della sostanziale unità di atman e brahman.





L'esperienza religiosa-perchè gli uomini credono nel sacro.


Per rispondere a ciò bisogne riflettere su due esperienze tipiche dell'essere umano:l'esperienza del limite e l'esperienza del sacro.


L'esperienza del limite riguarda la vita stessa;gli uomini hanno la consapevolezza di dover morire,per cui sanno che la loro esistenza ha un limite.Tuttavia l'idea di limite è inconcepibile senza l'idea opposta di assenza di limite;se esiste il mondo delle cose mortali deve esserci un mondo delle cose immortali.Tutto questo perchè gli uomini da sempre si sono posti domande come "perchè vivere,perchè morire,perchè soffrire".... In genere la religione aiuta a dare una risposta a tutta questa serie di domande e a mantenere l'angoscia che ne deriva per il semplice fatto che di fronte alle imperfezioni del mondo postula l'esistenza di un mondo dove non esistono questi limiti.


Infine vi è l'esperienza del caso che evoca i limiti della conoscenza umana,dove l'uomo costantemente cerca di dare spiegazioni a tutti gli eventi che si presentano nel corso della vita,ma queste rimango comunque parziali e provvisorie,perchè l'uomo non è in grado di risalire alle cause ultime dei vari fenomeni,per cui vige sempre il mistero.Ed è per questo che vi è l'idea di un ente superiore che non è sottoposto a tali limitazioni.Così le esperienze che sembrano più inspiegabili trovano una loro giustificazione.


Vi è un altro aspetto legato all'esperienza religiosa: il problema dell' ordine morale,legato alla possibilità di scelta di ogni singolo individuo.Poichè l'uomo è portato continuamente a scegliere tra diverse azioni,molte volte le scelte non sono dettate solo da da criteri utilitaristici,ma in base a dei codici morali che consentono di distinguere ciò che è bene e ciò che è male.Spesso succede che azioni che risulterebbero utili al raggiungimento dei nostri fini non ci sono consentite perchè violerebbero il nostro codice morale.


Nella storia dell'umanità i codici morali hanno quasi sempre trovato nella religione il loro fondamento.Per cui ogni religione possiede un elemento prescrittivo/normativo.Ogni comandamento diventa tanto più vincolante quanto se colui al quale è destinato è animato da una credenza sovrannaturale.


Detto ciò possiamo dire che vi sono ragioni sufficienti per spiegare l'universalità della religione nelle società umane.Le religioni soddisfano sia bisogni individulai che collettivi;i modi attraverso i quali cià avviene,però,sono molto diversi,per cui esistono varie forme e tipi di religione.


Tipi di religione:


E'possibile fare varie classificazioni della religione da un punto di vista sociologico.


Un primo criterio riguarda la natura delle credenze.


Vi sono religioni totemiche e animistiche; sono totemiche quelle religioni che postulano semplicemente l'esistenza di forze sovrannaturali che influenzano le vicende umane,come la credenza nel mana delle isole della Melanesia studiate da Malinowski*.


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*Kula è uno scambio simbolico di doni effettuato nelle isole Trobriand (nell'Oceano Pacifico) tra le popolazioni di queste isole ed è basato su un rapporto di fiducia.
Il kula è al centro dell'opera di Bronislaw Malinowski Argonauti del Pacifico Occidentale (Argonauts of the Western Pacific) pubblicata nel 1922, una delle più famose monografie etnografiche della storia dell'antropologia. Di conseguenza è divenuto uno dei fenomeni socio-culturali dei quali si è più discusso, non solamente all'interno delle discipline etno-antropologiche.
I partecipanti compivano viaggi anche di centinaia di chilometri in canoa per scambiarsi doni che consistono in collane di conchiglie rosse (soulava), scambiate in direzione nord (il viaggio è in cerchio è segue il movimento delle lancette dell'orologio) e braccialetti di conchiglia bianca (mwali), scambiati in direzione sud. Dunque lo scambio può avvenire solo tra oggetti diversi: braccialetti per collane e viceversa.
Gli oggetti dovevano circolare in continuazione, restando nelle mani del possessore solo per un periodo limitato di tempo e venivano poi barattati nel corso di visite che gli abitanti delle isole si scambiavano periodicamente. I preparativi per la partenza e gli scambi erano fortemente e rigidamente ritualizzati ma durante il viaggio per gli scambi di tipo kula avveniva anche un commercio meno simbolico con il quale venivano scambiati oggetti ed alimenti di uso comune.
Marcel Mauss, partendo dalla ricerca di Malinowski, tratterà del kula in due sue diverse teorie. Nel saggio sul dono esso è uno degli esempi chiave della teoria della reciprocità, secondo la quale il dono è generalmente un'istituzione sociale non volontaria ma obbligatoria. Nel proporre la teoria dei fatti sociali totali, Mauss prende nuovamente ad esempio il kula come fatto sociale (nella accezione di Emile Durkheim), che determina ed attorno al quale ruota l'intera vita di una società e, di conseguenza, studiando il quale è possibile capire tutto di essa.


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oppure il totemismo,studiato da Durkheim,nel quale i credenti riconoscono in un oggetto,in genere un animale o una pianta,il loro antenato comune,il quale ha dato origine al loro clan.


Le religioni animistiche credeono che dietro gli uomini,le cose,i fenomeni,vi siano degli spiriti che intervengono attivamente influenzandone il comportamento.Queste religioni contengono forti elementi di magia e riguardano in genere società semplici con un numero limitato di membri,e proprio da ciò dipende l'estrema variabilità di queste credenze,poichè si tratta di società che vivono piuttosto isolate e perciò sviluppano dei culti"locali".



Diverse sono le religioni universali. TIPI DI RELIGIONE:

CULTI LOCALI
Società semplici
forti elementi di magia,estrema variabilità delle credenze
TOTEMISMO
Antenato comune
Origine del clan
ANIMISMO
Spiriti attivi in ogni cosa e individuo
Influenza sul comportamento
RELIGIONI UNIVERSALI
Unificano masse enormi
Credenze comuni
Divinità con attributi di cui gli uomini sono privi
RELIGIONI POLITEISTE
Pluralità di dei
Attribuzione di sentimenti umani
divinità di funzione che presiedono alle attività
RELIGIONI MONOTEISTICHE
Ebraismo
Cristianesimo
Islamismo
Dio unico e onnipotente
Idolatria:adorazione di altri dei
Variante cattolica del cristianesimo:culto della Madonna e dei Santi
RELIGIONI TEOCENTRICHE
Credenza dell'aldilà dominato dalla divinità
Accesso mediante comportamento esemplare
RELIGIONI COSMOCENTRICHE
Buddismo
credenza di un'armonia universale



TESTO PER RIFLETTERE:


Il vero valore della religione Di Giacomo e Nadia Damilano BoTratto dal loro ultimo libro “Chi sono io? – L’eterna ricerca della verità” (Jubal 2005)
“Là ilàha ill’Allàh” – Non vi è Dio fuorché Dio (Corano)La parola religione deriva dal latino religo che significa unire, collegare. Essa è la “scienza dello spirito” ed ha come scopo quello di connettere o, meglio, riconnettere uomo e Dio.Le testimonianze archeologiche, mitologiche e letterarie che riguardano un’antichità assai remota nella storia del genere umano, rivelano come la religione permeasse ogni aspetto della vita e della società. Esisteva un notevole equilibrio tra le esigenze materiali e quelle spirituali, le prime realizzate per la sopravvivenza del corpo e le seconde per la realizzazione dell’anima.L’uomo viveva in pace con se stesso, con gli altri e con l’ambiente che lo circondava.Lungo la storia umana ad un certo punto tale equilibrio ha iniziato a sfaldarsi in favore degli aspetti più materiali. Tale processo viene oggi chiamato secolarizzazione e consiste nello svuotare ogni cosa del significato spirituale.Così, la politica, la legge e il governo furono i primi ad essere privati della componente divina. Ad esempio, nell’antico Egitto dapprima governavano i sacerdoti, in seguito i faraoni (con i sacerdoti come consiglieri) ed infine il popolo con la democrazia.Poi fu il pensiero ad essere laicizzato, sotto forma di filosofia e successivamente toccò alla scienza divenire atea. Fu poi il turno delle arti in tutte le loro manifestazioni ed infine anche la religione si secolarizzò perdendo di vista la propria vera funzione.Ecco la società occidentale che con i propri valori, fondamentalmente materiali, rapidamente conquista l’est e il sud del mondo, mentre la spiritualità vera viene osteggiata, derisa e considerata una debolezza dell’uomo che non sa vivere la vita di tutti i giorni.La vita ha perso la sacralità ed ognuno si sente libero di agire come crede. La libertà intesa come trascendenza dell’umano ha lasciato il posto ad un concetto molto più limitato che significa poter fare ciò che si desidera, non sottostare al volere altrui.Una buona parte dell’umanità non considera più valide e significative le verità eterne e la saggezza della religione e della spiritualità che per migliaia di anni sono state vissute e seguite dai saggi, le rifiuta poiché non è in grado di comprenderle veramente.Laddove la morale di un recente passato repressivo e puritano si sgretola e dove anche i valori più semplicemente materiali perdono presa, subentra poi una tendenza ancora più pericolosa a livellare tutto in nome della libertà di scelta e di espressione, tutto si equivale, tutto è consentito.Gli esponenti politici che cavalcano tale tendenza hanno affermato con fierezza la conquista della libertà della donna grazie alla legge che permette l’aborto, senza rendersi conto di aver dato in mano a ragazzi di diciott’anni uno strumento assai pericoloso e troppo grande per essi.I giovani, di oggi come del passato, hanno bisogno di indicazioni, di insegnamenti, di valori guida con cui vivere la propria esistenza. Da soli non sono in grado di percorrere la lunga strada chiamata esistenza senza commettere errori fatali che possono compromettere l’esito di una vita intera.Siamo d’accordo che è giusto avere una mente aperta in grado di assorbire ogni tipo di influsso, ma è necessario che questa mente abbia dei punti di riferimento che facciano da muro per contenere e guidare l’energia vitale e la creatività umana. Quando l’uomo respinge la spiritualità sotto forma di religione in nome di una maggiore apertura mentale, egli in realtà perde il criterio con cui discernere il vero dal falso.Di nuovo, una ragazzina che non riconosce più la sacralità della vita, si ritroverà schiava del piacere sessuale e dell’infatuazione, e senza una guida sicura commetterà errori che peseranno sulla sua coscienza tutta la vita.Il ruolo della religione è fondamentale, quanto quello di un buon governo e di leggi giuste, o quanto quello di una buona famiglia e di una giusta educazione. La nostra società commette un grave errore nell’ignorare questo dato di fatto e nell’affermare che il mondo può proseguire anche senza religione.Molti obietterebbero a tale visione sostenendo che le religioni hanno perso il vero valore e che non sono più in grado di compiere la loro funzione fondamentale, che è condurre l’uomo al divino.Ciò è in parte vero; è vero che il processo di secolarizzazione ha colpito in profondità ed oggi la maggior parte dei religiosi non incarna più l’ideale di uomo santo, di rinunciante in preghiera.È vero altresì che rare sono le persone che veramente si impegnano per comprendere il significato ed il ruolo della religione. Ci si limita ad uno studio storico o teologico, oppure la si tollera come si tollera il dolore, che è inevitabile, ma che si vorrebbe che non ci fosse.Comprendere una religione significa invece conoscere la verità interiore da cui scaturisce la manifestazione esteriore. Significa in altre parole passare dalla forma esteriore all’essenza, a quell’unica essenza comune a tutte le religioni.Prima di dire che una religione è solo un mucchio di falsità create per annebbiare o drogare le persone, bisognerebbe sperimentare la Verità da cui essa è nata e intorno alla quale si è sviluppata. Chi erano Cristo, Buddha, Krishna, Maometto e tutti gli altri grandi maestri? Cosa hanno insegnato e soprattutto come vivevano? Qual era la vita delle prime comunità sorte intorno a queste grandi figure? Ed infine, come e dove oggi è ancora presente lo spirito di quei fondatori; dove sono Cristo, Buddha, Krishna e Maometto?Senza questa visione dell’aspetto interiore delle religioni, ogni discussione rimane superficiale e nella peggiore delle ipotesi genera conflitto, come la storia spesso ha dimostrato.I conflitti nascono dal fatto che ogni parte afferma più o meno apertamente di essere l’unica depositaria della Verità e ovviamente nega la validità delle altre vie spirituali. È un comportamento comune ad ogni religione e contiene al tempo stesso una verità e un’impurezza.Per comprendere l’aspetto vero dobbiamo avvalerci di un’immagine. L’uomo vive in un universo costellato di stelle, ognuna delle quali meravigliosa e lucente. Però di giorno appare solo il sole, la cui luce nasconde tutte le altre. Egli ha da sempre venerato la sua stella considerandola prima unica e poi, quando la scienza gli ha aperto gli occhi, comunque la più bella e la più grande. È pur vero che, per gli abitanti di un pianeta che orbita intorno ad una stella lontana, il loro astro apparirà nel medesimo modo. Tutte le stelle sono uguali, ma anche completamente diverse a seconda del punto di osservazione.Allo stesso modo, il fondatore di una religione, essendo un uomo divino, risplende come un sole al centro del proprio sistema e viene venerato come unica emanazione di Dio. Ogni fondatore ha in qualche modo rotto il sistema religioso prima esistente e ne ha creato uno nuovo mettendosi al centro di esso. Così hanno fatto Buddha con l’Induismo, Gesù con l’Ebraismo e Maometto con il Cristianesimo, solo per fare alcuni esempi.Come l’uomo crea la sua esistenza materiale intorno ad un unico sole, così allo stesso modo egli crea la sua spiritualità intorno ad un’unica religione, scaturita da quel fondatore che egli riconosce come unica emanazione divina. La sua necessità di conoscere altre religioni e maestri è pari a quella di conoscere altre stelle del firmamento; è una conoscenza intellettuale.Con questo elemento di verità coesiste però una falsità, perché come il sole di per sé non nega le altre stelle, ma semplicemente le nasconde con la propria luce, allo stesso modo la religione non dovrebbe negare le altre espressioni di vera spiritualità e soprattutto dovrebbe rispettarle profondamente perché tutte scaturiscono dalla stessa verità, ossia da Dio.Nella storia umana ciò è avvenuto raramente; molto più spesso abbiamo assistito a squallidi tentativi di “accaparramento” delle persone, a conversioni forzate, fino a vere guerre religiose.La decadenza all’interno della religione è ciò che ha spinto le persone a ricercare religioni e vie spirituali diverse dalla propria. Si tratta di un movimento “innaturale” perché la propria religione, essendo scaturita dalla medesima Verità di tutte le altre, dovrebbe bastare alle necessità spirituali del praticante. Anzi, potremmo dire che ogni religione cammina con il linguaggio verbale e figurativo tratto dalla cultura a cui fa riferimento, parla cioè per persone nate in un determinato periodo storico e in una determinata area geografica, attinge alle loro abitudini, alla loro storia, al loro clima, ai tratti somatici ed alla struttura stessa della loro mente. Per questo è ragionevole per ognuno coltivare la religione della propria terra e da essa partire nella ricerca dell’Assoluto.Il dilemma se rimanere fedeli alla propria religione oppure ricercare altre tradizioni, così come la scelta di non seguire alcuna religione, è il prodotto finale del processo di secolarizzazione. La religione, da un lato “aggredita” dalle filosofie moderne e laiche, e dall’altro sempre meno capace di produrre religiosi di valore, in grado di accendere nei fedeli l’anelito per la ricerca spirituale, viene sottoposta ad un lento, ma costante processo di frantumazione dei propri valori. A molti tali valori appaiono “vecchi” e vuoti, non in grado di dare risposta alle domande che la vita moderna pone: in verità è proprio la mentalità che rifiuta tali valori perenni e universali ad essere immatura. Si preferisce criticare tutte le religioni facendone risaltare i limiti e le imperfezioni piuttosto che rivolgere verso se stessi l’analisi critica e scoprire di aver perso la propria religiosità e spiritualità, nonché il vero valore della vita.L’elemento centrale di ogni religione è la sua universalità. Ogni differenza appare tale solo in superficie ed è dovuta a differenze geografiche, climatiche, culturali, storiche... Ogni tradizione religiosa autentica è in realtà rivelazione di Dio, dell’Assoluto, ad una parte dell’umanità che in quel momento era pronta ad accoglierla. La Verità che ha dato origine ad ogni via spirituale è sempre la stessa e il suo scopo è sempre il medesimo: ricondurre l’uomo a Dio.Per comprendere a fondo una religione occorre saper distinguere tra forma ed essenza. La forma è la manifestazione esteriore, fatta di simboli, rituali e credenze. Il suo scopo è quello di dare all’uomo un comportamento elevato che lo emancipi dalla sua natura animale e lo avvicini alla divinità. Ogni tradizione dà un nome a tale codice etico: i comandamenti cristiani, la Shari’ah mussulmana, il Dharma indù e così via.L’essenza invece è il cuore dell’insegnamento, quell’unica Verità che è Dio, l’Assoluto, l’Uno. Tale essenza è sempre nascosta e vive in secondo piano rispetto alla forma. Ecco perché è facile rimanere ingannati e ritenere erroneamente “eretica” una manifestazione religiosa diversa dalla propria.Forma ed essenza sono profondamente collegate. La prima scaturisce dalla seconda e il suo significato può essere veramente compreso solo conoscendo l’essenza.Ogni religione ha da sempre un aspetto essoterico, cioè di massa, alla portata di tutti, fatto di semplici precetti di vita, di sacramenti, di feste, di preghiera collettiva. Ed uno esoterico, riservato a chi ha reale brama di conoscere Dio, di sperimentare direttamente l’unione con l’Assoluto e conoscere i misteri dell’universo.Il primo ha la funzione ed il valore di guidare la vita, di elevare i gesti quotidiani, di condurre l’energia vitale verso il mondo esterno attraverso i sensi. Il secondo ha il compito di ispirare, di dare un senso al tutto, di guidare l’energia vitale verso il mondo interiore, chiudendo le porte dei sensi fino all’unione con Dio.Nelle religioni moderne l’aspetto esoterico è invisibile, poco accessibile, spesso quasi rinnegato, e ciò rende sterile l’aspetto essoterico, che si svuota dei propri significati e diventa qualcosa in cui credere come mistero della fede, qualcosa che va difeso con la forza perché non può più essere compreso con la ragione né con l’esperienza.La lacuna, se di lacuna si vuole parlare, è data dalla mancanza di uomini di Dio, di veri ricercatori interessati a conoscere l’essenza, e capaci di affascinare, di infiammare l’anima di coloro che sono alla ricerca della via per conoscere direttamente Dio.Come è possibile conoscere l’essenza? Essa è nascosta alla persona comune, ma si mostra a chi sa andare oltre l’ordinario, il mondo duale, e percepire l’unità di quanto esiste. È solo con la pratica della meditazione, nelle sue infinite modalità, che è possibile perforare maya, l’illusione delle forme, e pervenire alla realtà unica da cui scaturiscono tutte le religioni e le vie spirituali. Si tratta dunque di un’esperienza e non di una conoscenza intellettuale ed è accessibile con una pratica intensa e genuina, scevra da preconcetti e pregiudizi, perché come sempre la Verità stupisce nella sua infinita capacità di mostrarsi sempre uguale e sempre diversa al tempo stesso.Conoscere una religione in profondità significa sperimentarne l’essenza: solo allora se ne comprenderà il valore fondamentale per l’esistenza umana. Chi parla in modo critico lo fa perché non ha mai sperimentato in prima persona.

venerdì 7 dicembre 2007

quarto capitolo-controllo sociale,devianza e criminalità

Controllo sociale: insieme dei metodi usati per fare in modo che i membri di un gruppo rispettino le norme e le aspettative di questo gruppo. Si realizza attraverso due processi: uno interno, la socializzazione, e uno esterno, il ricorso a premi e punizioni.
La socializzazione è il processo attraverso il quale ogni società per assicurare la propria continuità cerca di trasmettere la sua cultura, l’insieme di valori, norme, atteggiamenti, aspettative, conoscenze, linguaggi di cui dispone; si distingue una socializzazione primaria che avviene nei primi anni di vita del bambino e che trasmette le competenze di base (linguaggio, affettività, relazioni) e quella secondaria che si ha con l’ingresso nella scuola ed è mirata verso competenze specifiche necessarie per lo svolgimento dei ruoli sociali. Le norme vengono interiorizzate e trasformate in norme morali che guidano la condotta perché vissute come giuste e naturali.
Se il processo non ha successo entra in azione il processo esterno di controllo sociale col ricorso a punizioni e ricompense intese come reazioni alle violazioni delle norme, per scoraggiarle o per prevenirle.
Devianza: ogni atto o comportamento (anche solo verbale) che viola le norme di una collettività e che di conseguenza va incontro a qualche forma di sanzione; non è una proprietà di certi atti o comportamenti, ma una qualità che deriva dalle risposte, dalle definizioni e dai significati attribuiti a questi dai membri di una collettività (un atto non urta la coscienza perchè è criminale, ma è criminale perché urta la coscienza, Durkheim).
Un atto è quindi deviante solo in riferimento al contesto socioculturale in cui ha luogo, inoltre può essere considerato deviante in una situazione, ma non in un’altra del tutto diversa. Per trasformarsi in reato un atto deviante deve infrangere una norma del codice penale che ne preveda una pena di grado commisurato. Lo studio della devianza di solito arriva a cogliere solo questi atti definiti reati compiuti contro la persona, molti dei quali restano comunque sconosciuti o perché senza vittime o perché non segnalati alle autorità.
Teorie della criminalità. Spiegazioni biologiche. Cercano di spiegare i comportamenti devianti in base a caratteristiche biologiche e fisiche fino a considerare il criminale come un essere anormale, inferiore, un delinquente nato; in realtà non vi è alcuna conferma che i tratti biologici (se non forse la trisomia XYY) possano agire aumentando la probabilità che una persona commetta reati.
Teoria della tensione. Durkheim pensava che certe forme di devianza derivassero dall’anomia o mancanza di norme sociali che regolino e limitino i comportamenti individuali. Merton sostiene che la devianza è sì provocata da situazioni di anomia, ma che queste nascono da una tensione tra la struttura culturale (che definisce le mete e i mezzi per raggiungerle) e la struttura sociale (che dispone delle effettive opportunità necessarie per arrivare a tali mete con quei mezzi). Per adattarsi ai valori culturali proposti nella situazione prodotta dal contrasto fra le mete e i mezzi per raggiungerle gli individui possono scegliere tra cinque forme di comportamento:
- conformità: accettazione sia delle mete che dei mezzi; tutti gli altri quattro comportamenti sono devianti.
- innovazione: adesione alle mete, ma rifiuto dei mezzi normativamente prescritti (furti, inganni, imbrogli).
- ritualismo: abbandono delle mete, ma adesione ai mezzi (non fare il passo più lungo della gamba).
- rinuncia: abbandono sia dei fini che dei mezzi (etilismo, tossicodipendenza, mendicità).
- ribellione: rifiuto di mete e mezzi con sostituzione con altre mete e mezzi.
Teoria del controllo sociale. Pone come presupposto che l’uomo non sia un animale morale (come previsto nella teoria della tensione), ma che sia invece moralmente debole, pertanto sarebbe la conformità e non la devianza lo stato “patologico” da spiegare. Una persona compie un reato quando il vincolo che lo lega alla società è tanto debole da arrivare a spezzarsi (Hirschi). I controlli sociali che impediscono di violare le norme sono di tipo esterno (sorveglianza) o interno, distinto in diretto (imbarazzo o vergogna) e in indiretto (attaccamento emotivo per gli altri e desiderio di mantenere la loro stima).
Teoria della subcultura. Il contrasto tra struttura sociale e culturale perché insorga la devianza non è sempre sufficiente, spesso questa si apprende dall’ambiente in cui si vive, ambiente dotato di norme e valori trasmessi diversi da quelli della società nei confronti della quale si pone come una subcultura. Nel suo ambito il soggetto non viola alcuna norma, anzi si adegua a quelle che apprende (non sono né ereditate né inventate dall’attore) e che impara a mettere in atto.
Teoria dell’etichettamento. Sostiene che per capire la devianza bisogna tenere conto non solo della violazione, ma anche della creazione e dell’applicazione delle norme. Il reato è il prodotto delle interazioni tra coloro che creano e fanno applicare le norme e quelli che le infrangono. Fra costoro non vi sarebbero differenze né di bisogni né di valori (a tutti succede di violare norme di vario grado), ma un conto è commettere un atto deviante, altro è suscitare una reazione sociale, venire definito deviante e come tale etichettato. Lemert distingue una devianza primaria che si riferisce a violazioni delle norme di rilievo marginale e che vengono dimenticate (il soggetto non si sente deviante e non viene definito tale) e una devianza secondaria in cui l’atto deviante suscita una reazione di condanna da parte degli altri con etichettatura e riorganizzazione della propria personalità sulla base delle conseguenze prodotte dal suo atto.
Teoria della scelta razionale. Vede i reati non come violazioni provocate da fattori biologici, sociali o psicologici, ma come risultanti di azioni intenzionali adottate attivamente dagli individui. Chi decide di compiere un reato è un essere razionale che sa scegliere liberamente se violare o meno una norma in base ai suoi interessi e priorità (guadagno, piacere, prestigio, potere). Chi trasgredisce va incontro a vari tipi di costo: esterno pubblico (sanzioni amministrative o penali), esterno privato (costi di attaccamento per sanzioni informali di altri significativi), interni (coscienza delle norme interiorizzate che fa provare colpa e vergogna).
Forme di criminalità. Attività predatoria comune: insieme di azioni illecite condotte con la forza o con l’inganno per impadronirsi dei beni mobili altrui che comportano un contatto fisico diretto fra chi compie l’azione e la vittima.
Omicidio, doloso (non voluto, ma causato da negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza delle leggi) o colposo (volontà di uccidere); è in calo continuo coerentemente con la civilizzazione, con la sola eccezione dei periodi postbellici in cui si verifica un brusco aumento degli omicidi per fenomeni di disorganizzazione sociale, per fattori di natura economica e per la legittimazione della violenza vissuta in periodi di guerra. Più difficile è da spiegare l’aumento verificatosi dagli anni 50 ad oggi in tutto il mondo occidentale.
Reati dei colletti bianchi. Sono reati commessi da persone altrimenti rispettabili e di elevata condizione sociale nel corso della loro occupazione. Sono solitamente reati di occupazione (commessi durante il lavoro per proprio vantaggio come appropriazione indebita, insider trading, corruzione, concussione) e di organizzazione (compiuti per conto di un’organizzazione pubblica o privata come frodi, occultamento di notizie o materiali pericolosi, mancato rispetto delle norme di sicurezza).
Criminalità organizzata: insieme di imprese che forniscono beni e servizi illeciti e che si infiltrano nelle attività economiche lecite. Spesso tali imprese hanno attività sia economiche che politiche, necessitano di protezioni, di capitali e di forza lavoro militarizzata. Il ricorso alla violenza di tali imprese non è mai gratuito, ma viene utilizzato solo quando gli altri mezzi sono stati inefficaci.
Caratteristiche sociodemografiche di compie reati. Classe sociale: scarsa relazione tra reati e classe sociale, ma la relazione tra classe sociale e tendenza a violare una norma è tanto più forte quanto più grave è il reato. Genere: maschile nel 90% nei reati gravi, equivalenza in reati meno seri, soprattutto commerciali e di taccheggio. Età: la curva del tasso di età per reati come rapina e furto sale rapidamente durante preadolescenza e adolescenza, raggiunge il massimo intorno alla maggiore età e poi scende bruscamente.
Sanzioni: informali sono quelle spontanee e poco organizzate provenienti da familiari o amici, formali sono quelle comminate da organismi o gruppi specializzati ed investiti della potestà di emetterle. Tipo di sanzioni: faida, vendetta da parte della vittima; sanzioni pecuniarie, pene corporali, reclusione, pena capitale.

schema riassuntivo:





DEVIANZA :
Comportamento che viola norme
e che genera sanzioni (negative)
Cautele e conseguenze:
a) gli standard sono ambigui
b) le norme sono diverse nei sottogruppi
c) le sanzioni
Principi generali:
1. la devianza è RELATIVA
2. per essere punita deve essere RICONOSCIUTA
3. la devianza è funzionale a ORDINE e COESIONE SOCIALE

- permette conferma di adesione a norme
- rassicura i "normali" (= seguaci delle norme)
- è veicolo di innovazione

Disapprovazione
Esclusione
Pena
informali
formali





TEORIE DELLA DEVIANZA
BIOLOGICHE (Lombroso, Sheldon)
TEORIA DELLA TENSIONE 􀃆 ANOMIA

Durkheim = assenza di norme sociali
Merton = contrasto fra METE (strutt. culturale)
MEZZI (strutt. sociale)
TEORIA DEL CONTROLLO
INTERNO DIRETTO (vergogna, colpa)
INDIRETTO (figure di riferimento)
ESTERNO DIRETTO (premi/punizioni)
INDIRETTO (sorveglianza)
TEORIA DELLA SUBCULTURA
(apprendimento avviene in piccoli gruppi)
Associazionismo differenziale
Aspettative ambientali
(andando con lo zoppo… - Dio li fa e li accompagna)
TEORIA DELL’ETICHETTAMENTO

a) norme stabilite da "altri"
b) devianza primaria e secondaria
c) etichettamento – stigmatizzazione
d) devianza come carriera
TEORIA DELLA SCELTA RAZIONALE

Devianza = azione razionale, con calcolo costi e benefici
CRIMINOLOGIA RADICALE (= giustizia di classe)


IMMAGINE PER RIFLETTERE


















Fig. 19 «L'attenzione al problema della criminalità è molto viva nelle popolazioni dei Paesi sviluppati e, in genere, dappertutto. Le religioni hanno calato nel profondo di ognuno di noi il disprezzo del deviante e, peggio, del criminale; poco hanno contato le predicazioni evangeliche (peraltro anche contradditorie) e le abitudini delle prime comunità cristiane, dove il "peccatore", cioè il deviante, adultero, ladro, o addirittura omicida, era ben accolto nella comunità, ben conscia che la Chiesa è chiesa soprattutto per i peccatori da risanare e controllare nella libertà. La Chiesa cattolica nei secoli, e le altre chiese cristiane, da quando esistono, hanno, al contrario, peccato molto con persecuzioni dei devianti e degli eretici, con poderosi programmi di tortura affidati agli stati cattolici o cristiani (affidati cioè ai "bracci secolari"), con esecuzioni capitali di eretici e di streghe, con guerre di religione che hanno devastato l'Europa e il mondo. Ancora oggi talune chiese ortodosse non si peritano di scatenare persecuzioni e "pulizie etniche" come è accaduto recentemente nei Balcani».
(foto da http://www.disastromondo.it/indice.htm)
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WEB LINK PER QUESTA U.D.


www.altrodiritto.unifi.it/devianza/index.htm

Il Centro di Documentazione "L'altro diritto", fondato nel 1996 presso il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto dell'Università di Firenze, svolge attività di riflessione teorica e di ricerca sociologica sui temi dell'emarginazione sociale, della devianza, delle istituzioni penali e del carcere e, attraverso il proprio sito Web, mette a disposizione degli operatori sociali e degli studiosi i risultati più rilevanti e compiuti di questa attività. Il centro è inoltre uno degli enti promotori della rivista Dei delitti e delle pene, fondata da Alessandro Baratta ed edita dalla Esi.

http://www.temiricerche.it/

Il Centro Studi “TEMI” è stato fondato nel 1998 per iniziativa della Confesercenti unitamente ad SOS Impresa, alla Fondazione CESAR ed alle Edizioni commercio. Opera nel campo della ricerca sociale ed economica. Il Centro Studi promuove e finanzia autonomamente indagini su temi connessi alla legalità ed agli intrecci fra criminalità, sistema economico ed imprese.

www.transcrime.unitn.it/

Transcrime nasce il primo novembre 1994 come Gruppo di ricerca sulla criminalità transnazionale del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università degli Studi di Trento. Al Centro afferiscono, oltre al Dipartimento di Scienze Giuridiche, quelli di Economia, Sociologia e Ricerca Sociale e Scienze Umane e Sociali. Si potenzia così l'integrazione tra criminologia, diritto, economia, statistica, sociologia e psicologia.

http://www.disastromondo.it/ottavo.htm

Uno dei capitoli del libro in rete di Francesco Golzio intitolato Disastro del mondo, è importante leggere uno dei capitoli: devianza e criminalità.

http://www.cestim.it/11devianza.htm

Devianza e criminalità tra gli immigrati.