martedì 8 gennaio 2008

Capitolo 9-famiglia e matrimonio


Discussione al forum di sociologia

la fine del patriarcato è segnata da un maggiore
pratogonismo sociale della donna nel lavoro,
nell'istruzione, in politica ecc. Un ulteriore
indicatore empirico ci è offerto dal pluralizzarsi delle
forme familiari: non solo matrimoni ma anche convivenze.
Inoltre i nuovi movimenti dei diritti delle minoranze,
come quello gay, reclamano un riconoscimento pubblico
dei legami affettivi che si instaurano tra persone dello
stesso sesso. Come la sociologia può interpretare questi
fenomeni?



Grazie a lunghi periodi di lotte,la donna è riuscita a conquistarsi la propria autonomia ed una sua parte nella società;ciò ha avuto conseguenze di grande portata,tra cui,appunto,la fine del patriarcato,cioè la forma familiare caratterizzata da una forte autorità maschile e da una netta separazione dei ruoli.

Uno degli aspetti che maggiormente sono discussi oggi,è la convivenza come sintomo di una crisi della famiglia tradizionale.Inoltre i nuovi movimenti dei diritti delle minoranze,come quello gay,è sempre più al centro di dibattiti accesi.

La sociologia può spiegare questi fenomeni attraverso due punti cruciali:

In primo luogo esse si presentano come ‘unioni sperimentali’ che nascono come una forma di reazione alla crescente instabilità coniugale.
In secondo luogo nascono spesso come esigenze delle donne per avere maggiori spazi di libertà per l’attività extradomestiche e per mettere in discussione la tradizionale divisione di genere del lavoro.


Approfondimento

Critica della famiglia

Gli studi di Lewis H.Morgan sulla storia della famiglia
L'evento che certamente ha dato l'avvio alla critica moderna della famiglia è un libro "La società antica" scritto nel 1877 da Lewis Henry Morgan che viene considerato il fondatore dell' antropologia americana.Questa pubblicazione è la risultante di una accurata ricerca a cui dedicò oltre quarant'anni della sua attività di studioso della preistoria e delle istituzioni sociali.A quel tempo la teoria dell'evoluzione era appena stata enunciata da Darwin e Morgan fu uno dei primi che l'applicarono agli studi antropologici.

Da Morgan a Engels: la famiglia patrilineare è funzionale alla proprietà privata
L'etnologo russo Maxim Kovalevsky tornando dagli Stati Uniti in Inghilterra portò con sé una copia del libro di Morgan al suo amico Karl Marx perché ne prendesse visione.Marx ed Engel si mostrarono subito interessati a questa pubblicazione in quanto ritennero che Morgan aveva applicato alla preistoria dell'umanità e alle società antiche lo stesso metodo dialettico (materialismo storico) applicato da loro alla moderna società capitalistica.Anni dopo, morto Marx collaboratore principale nell'elaborazione della scienza della rivoluzione, Friedrich Engel pubblicò le comuni riflessioni sull'argomento in uno scritto "L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato" apparso nel 1884 e poi in una edizione riveduta nel 1891 qualche anno prima della sua stessa morte.La tesi fondamentale è che anche le istituzioni sociali fondamentali come la famiglia non sono immutabili, tesi questa che da loro un'alone di sacralità ma che la storia della vita sociale umana non convalida in quanto anche tali istituzioni hanno subito trasformazioni nel tempo e presumibilmente quindi è da prevedersi che ne subiranno ancora.Più nel concreto Engels sulla scia delle ricerche antropologiche del Morgan individuò una prima cesura a livello di storia dell'istituzione famiglia nel momento del passaggio dall'epoca della società selvaggia (economia di caccia e raccolta) a quella della società civile (inizio dello sviluppo della metallurgia) che corrisponde anche al passaggio da una primitiva proprietà collettiva alla proprietà privata. A livello di storia della famiglia questi due periodi storici ben delineati corrispondono a due modalità costitutive della famiglia ben differenziate: la famiglia matrilineare e la famiglia patrilineare.

Critiche alle tesi di Morgan-Engels sulla storia della famiglia
Questa visione della preistoria umana che nega l'identificazione di famiglia con famiglia patriarcale e soprattutto che lega la famiglia patriarcale alla proprietà privata e non solo queste ricerche ma anche altre che comunque utilizzavano i metodi e i risultati di Morgan, Tylor e altri autori evoluzionisti contemporanei a Darwin, ha trovato immediate critiche in nuove correnti del pensiero antropologico come quelle che facevano capo a Franz Boas negli Stati Uniti e A.R.Radcliffe-Brown in Inghilterra.

La critica della famiglia in Teilhard de Chardin
Con Teilhard de Chardin la critica della famiglia non è rivolta più a questa o a quella forma di famiglia ma alla famiglia in sé in quanto coglie che dal punto di vista della natura e di ciò che nella natura è la vera vita, cioè l'evoluzione, ciò che è destinato a rimanere è la coppia mentre la famiglia è stato solo un espediente della natura per come dire "guadagnare tempo" in attesa di una maggiore maturazione della specie. Quindi se da un lato può apparire questa posizione - paradossale a dirsi in quanto Teilhard è rimasto fino alla morte legato testardamente alla Chiesa Cattolica che da parte sua non gli ha certamente reso la vita facile - ancor più radicalmente critica della famiglia di quegli stessi critici come Marx ed Engels è anche perché in una epistemologia materialista, come quella dei due allievi di Hegel, che non può vedere lo spirito come scopo e fine della storia questo estremismo nella critica della famiglia appare come un non senso. Solo l'amore portato all'eccesso per lo spirito e per l'evoluzione ha mosso lo sguardo scientifico e profetico di Teilhard a vedere oltre la non più essenzialità della stessa struttura sociale familiare per portare avanti l'evoluzione. Ma quì già ci muoviamo nell'ambito dei tempi lunghi dell'evoluzione anche se Teilhard poi non credeva che questi più ragionevoli tempi lunghi ormai che siamo già giunti alle soglie del trionfo dello spirito sarebbero più stati ancor per molto tempi lunghi.A parte questo anche la visione evoluzionistica di Teilhard concorda nel ritenere che l'avvenire ddell'evoluzione umana è di una maggiore socializzazione e non come in Max Stirner o Nietzsche in uno sviluppo estremo dell'individualismo che ponga questi sempre più estranei a chi ancora si confonde con la coscienza collettiva e che quindi non è ancora nato come individuo. L'avvenire dell'evoluzione è dato dal fatto che più socializzazione corrisponda e meno alienazione, detto in altri termini che l'essenza umana sta proprio nella sua natura relazionale per cui l'uomo astratto non esiste poiché l'essere umano è una relazione, sempre. Questo per dire che in Teilhard lo spirito non è una fredda astrazione ma è quella forza erotica con le stesse caratteristiche della forza gravitazionale descritte da un Newton e poi da Albert Einstein che unisce i tanti atomi umani in un'unica mente sociale che giunta ad una soglia critica è in grado di determinare la fine della storia dell'universo, quell'universo che nato dal suo frammentarsi con il big bang si è ricostituito infine in unità alla fine del mondo con il ricercarsi vicendevole dei frammenti di sè. Del resto questo era anche la verità dell'amore che il grande filosofo greco Platone ben 2400 anni fa aveva colto come essere il vero senso dell'amore e che ha fatto dire a Dante Alighieri "l'amor che move il sol e l'altre stelle" indicando il motore vero dell'universo e della sua storia: l'amore. Quello stesso amore che ha concepito la famiglia e che adesso con lo stesso amore muove verso nuove mete evolutive andando oltre la famiglia.

lunedì 7 gennaio 2008

Capitolo 8-razze,etnie e nazioni



Discussione al forum di sociologia


L'Italia è diventato un paese di immigrazione, dopo
essere stato per tanti anni paese di emigrazione. In una
società multietnica, quale deve essere l'atteggiamento
politico, culturale, personale più consoono di fronte a
questa realtà? E' auspicabile il modello pluralista
inglese, in cui ciascuno può costruirsi le proprie
chiese, scuole, circoli, ospedali e manifestare
liberamente le sue opinioni e tradizioni in pubblico (ad
es. pregare in pubblico e portare il burka) o sarebbe
preferibile il modello assimilazionista francese nel
quale la libertà assoluta è relegata nella vita privata,
mentre in pubblico tutti devono attenersi alle regole
laiche dello stato? Cioè in Francia è vietato professare
la propria fede in pubblico, è vietato portare il burka
ma anceh esporre il crocifisso, le scuole sono solo
pubbliche ecc. Cosa ne pensate?




Purtroppo l'Italia è un paese fortemente conservatore e
molto legato alla propria origine e tradizione,quindi un
modello come quello inglese non troverebbe in Italia
terreno fertile. Allora andrebbe bene il modello
francese? Neppure,perchè la politica italiana è
caratterizzata da incessanti scontri politici tra destra
e sinistra,per cui se la destra volesse introdurre una
politica simile,la sinistra farebbe di tutto per
impedirlo.Conclusione?Ci troviamo in una via di
mezzo,funestati sempre da soliti scontri e
polemiche,incapaci di prendere una decisione consona.A
mio parere l'Italia non era pronta per diventare una
società multietnica,perchè ci sono troppe idee
contrastanti tra loro, e la nostra politica più che
mettere ordine crea ancora più disordine e
disorientamento tra la popolazione. D'altronde non solo
in Italia vi è la difficoltà di convivere con altre
culture,ma anche in altre parti del mondo,perchè il
forte senso di appartenenza che ogni individuo ha nei
confronti del proprio gruppo impedisce di vedere l'altro
in maniera oggettiva,sentendosi minacciato dalla sua
"diversità"e di conseguenza si crea una convivenza
forzata,caratterizzata da scontri di civiltà. Il mio
punto di vista per quanto riguarda l'Italia è che le
politiche migratorie,e non solo...dovrebbero fare di
più,o meglio dovrebbero fare qualcosa. Ma è inutile dire
sempre le stesse cose,se ci troviamo in questa
situazione è perchè dall'"alto" ognuno dirige la
politica a proprio comodo.




Ralph Linton,l'Americano al cento per cento.


Non ci sono dubbi sull'americanismo dell'americano medioné sul suo desiderio di conservare ad ogni costo questapreziosa eredità. Tuttavia alcune insidiose ideestraniere si sono già insinuate nella sua cultura senzache egli si sia reso conto di quello che stavaaccadendo. Ecco dunque il nostro insospettabile patriotache indossa il pigiama. un indumento che ha originenell'India orientale, e dorme sdraiato su un lettocostruito secondo un modello originario persiano odell'Asia Minore. È coperto fino alle orecchie di stoffenon americane: cotone coltivato per la pri¬ma volta inIndia, lino coltivato in Medio Oriente, lana prodotta daun animale originario dell'Asia Minore, oppure seta, chei cinesi hanno inventato e usato per primi. Tutti questimateriali si sono trasformati in tessuti grazie a unprocedimento inventato nell'Asia sud-occidentale. Se fapiuttosto freddo può: dormire sotto un piumone atrapunta inventato in Scandinavia. Svegliandosi dàun'occhiata alla sveglia, un'invenzione medievaleeuropea, usa una forte parola latina in formaabbreviata, si alza in fretta e si dirige verso ilbagno. Qui, se riflette un momento non può non sentirela presenza di una grande istituzione americana; ne hasentite di storie sulla qualità e sulla dif¬fusione deiservizi igienici nei paesi stra¬nieri e sa che innessuno di essi l'uomo medio effettua le sue abluzioniin mezzo a tanto splendore. Ma anche qui trova traccedell'irritante influenza straniera. Il vetro fuinventato dagli antichi egizi, le piastrelle vetrificatedel pavimento e delle pareti nel Medio Oriente,laporcellana in Cina e l'arte di smal¬tare i metalli dagliartigiani mediterra¬nei dell'età del bronzo. Anche letubature e la tazza del cesso sono copie appenamodificate rispetto agli originali romani. L'unicocontributo americano a tutto il complesso è ilradiatore. In questa stanza da bagno l'americano si lavacon il sapone inventato dai Galli. Poi si lava i denti,una rivoluzionaria pratica europea che non si propa¬gòin America fino agli ultimi anni del diciottesimosecolo. Quindi si fa la barba, rito masochistico la cuiorigine risaie ai preti dell'antico Egitto e ai sumeri.Il procedimento è reso meno peno¬so dal fatto che usa unrasoio di acciaio, una lega di ferro e carbonioinventata in India o in Turkestan. Infine si asciuga conun asciugamano turco. Ritornando nella camera da letto,l'inconsapevole vittima di oscure pratiche straniereprende gli abiti dalla sedia, il cui modello è statoelaborato nel Medio Oriente, e inizia a vestirsi. Simette un abito attillato le cui forme derivano dallevesti di pelle degli antichi nomadi delle steppeasiatiche e lo allaccia con dei bottoni i cui prototipicomparvero in Europa alla fine dell'età della pietra.Questo vestito è abbastanza adatto per stare all'apertoin un clima fred¬do, ma non si addice certamente alleestati americane, né alle case con riscaldamentocentrale o alle carrozze ferroviarie. Tuttavia idee eabitudini straniere hanno asservito il poveretto, anchese il buon senso gli dice che il vero abito americano distrisce di pelle e i mocassini sarebbero molto piùcomodi. Si infila ai piedi delle calzature rigide dicuoio confezionate secondo un procedimento inventatonell'antico Egitto e tagliate secondo un modello cherisale agli antichi Greci e si assicura che sia¬noaccuratamente lucidate, anche questa un'idea greca,Infine si passa attor¬no al collo una striscia di stoffadai colori vivaci, che è un vestigio sopravvissuto delloscialle che indossavano i Croati del diciassettesimosecolo. Si dà un'ultima occhiata allo specchio, vecchiainvenzione mediterranea, e scende le scale... . Si mettein testa un cappello di feltro, materiale inventato dainomadi dell'Asia orientale e, se sta per piovere, simet¬te le soprascarpe di gomma, inventate dagli antichimessicani, e prende l'ombrello, inventato in India.Scatta via per prendere il treno, che è un'invenzioneinglese (il treno, naturalmente, non lo scatto). Allastazione si ferma un istante per comprare il giornale elo paga con delle monete inventate nell'antica Lidia. Una volta in carrozza, si sistema sul retro per fumareuna sigaretta, invenzione messicana, o un sigaro,invenzione brasiliana. Intanto legge le notizie delgiorno, stampate con caratteri che de¬ivano dagliantichi Semiti, stampati mediante un procedimentoinventato in Germania su materiale inventato in Cina. E,mentre legge l'ultimo editoriale che parla deidisastrosi risultati che l'accettazione delle ideestraniere produce sulle nostre istituzioni, non potràfare a meno di ringraziare un Dio ebreo in una linguaindoeuropea di essere al cento per cento (sistemadecimale inventato dai greci) americano (da AmerigoVespucci, nàvigatore e geografo ita¬liano). (RalphLinton, .The American Mercury», 40 [aprile 1937], pp.427-429)




Trovo davvero molto significativo questo brano;il modo ironico e veritiero con cui l'autore mette in evidenza lo stupido americanismo che oggi è molto diffuso fa riflettere parecchio.


Fa capire quanto sia stupido voler fermare a tutti i costi il fenomeno migratorio e imporre superiorità tra razze.


Fino a prova contraria ogni cultura unitamente alle proprie tradizioni,norme e valori,è frutto di "mescolamenti"culturale,nessuna cultura è fine a se stessa;quello che voglio dire è che se non ci fosserro stati i fenomeni migratori e di conseguenza gli scsmbi tra culture a quest'ora noi italiani,come altri popoli,non saremmo come siamo,per cui ritengo che voler impedire l'incontro tra popoli è come voler bloccare il mondo e la vita stessa.


Abbiamo bisogno degli altri,del diverso,anche per poterci confronatere e per avere la possibilità di allargare i nostri orizzonti.




APPROFONDIMENTO


Negli USA

Dagli inizi a Martin Luther King
L'atteggiamento di discriminazione razziale su base pseudo-scientifica fu rafforzato dalle guerre indiane, per giustificare il genocidio, protratto per decenni, delle popolazioni indiane per sottrarre loro le terre: gli indiani non erano "davvero" esseri umani, e quindi nemmeno a loro si applicavano le considerazioni "umanitarie". La conquista del continente americano portò ad un totale di morti indigeni che secondo le stime più recenti oscilla tra i sessanta ed i cento milioni [5] , di cui venti milioni durante le guerre indiane nel Nord America. Queste cifre lo eleggono tristemente come il più grande genocidio nella storia dell'umanità. L'efficienza dello sterminio indiano americano portò Adolf Hitler a citarlo come esempio pratico per la soluzione finale fin nella prima edizione del Mein Kampf (la mia battaglia), manuale e base ideologica dell'ideologia Nazionalsocialista.
Nell'America coloniale, ancor prima che la schiavitù coloniale divenisse completamente basata su basi razziali, gli schiavi di origine africana erano usati a fianco degli schiavi bianchi, di solito vincolati alla condizione servile da contratti con una scadenza determinata, in gran parte firmati per pagare le spese di trasferimento nel Nuovo Mondo. Alla scadenza di tali contratti gli europei che erano sopravvissuti recuperavano la libertà (non era previsto che i neri potessero recuperare la libertà alla scadenza di un certo periodo di tempo).
A seguito di una serie di rivolte che coinvolsero questo tipo di coloni, però, negli Usa si arrivò a fare a meno degli schiavi bianchi già nel XVIII secolo, riservando la schiavitù alle persone di origine africana, che non potevano contare, a differenza dei bianchi, di solidarietà religiose e etniche da parte di componenti liberi della società bianca dominante. In questo modo, "razza" e condizione sociale vennero a coincidere negli Usa, in modo tale che ancor oggi negli Stati Uniti è difficile separare i due concetti.
Subito dopo l'indipendenza (avvenuta nel 1776) le leggi statunitensi del 1790 sulla naturalizzazione garantivano la cittadinanza solo alle "persone bianche libere", il che significava generalmente che veniva concessa solo a coloro che erano di origine anglosassone.
Quando la popolazione americana divenne culturalmente meno omogenea, verso gli anni ’40 del XIX secolo, con l'aumento dell'immigrazione dall'Europa meridionale e orientale, negli USA si rese necessario chiarire chi fossero i "bianchi". Nacque così una suddivisione di quelli che oggi sono chiamati «caucasici» in una gerarchia di diverse razze, stabilite "scientificamente", e al cui vertice erano gli anglosassoni e i popoli nordici.
Venuta meno l'utilità economica dello schiavismo negli stati industrializzati del Nordamerica, il 1 gennaio 1863 il presidente repubblicano Abraham Lincoln abolì la schiavitù con la Proclamazione di Emancipazione (Emancipation Declaration). Gli stati agricoli del sud si confederarono a difesa della schiavitù dando inizio alla guerra di secessione americana. La schiavitù terminò nell'intera federazione con la sconfitta del sud, infine il 18 dicembre 1865 fu ratificato il tredicesimo emendamento. L'abolizione della istituzione schiavistica tuttavia rafforzò e istituzionalizzò l'ideologia razzista, e a partire dagli anni 1870, con l'affermarsi delle teorie del cosiddetto «razzismo scientifico» moltissimi stati americani introdussero leggi discriminatorie (Black Codes e leggi di Jim Crow), tra cui il reato di miscegenation (mescolanza razziale), cioè la proibizione dei matrimoni misti e delle unioni interrazziali, ed ebbe inizio il fenomeno della segregazione razziale.
Nella maggior parte degli stati segregazionisti le persone che immigravano da Portogallo, Spagna, da una piccola parte della Francia meridionale (e dalla Liguria), dall'Italia meridionale, dalla Grecia, dal Nord Africa e dal medio oriente, furono classificati diversamente dai «bianchi» e il termine «bianco» iniziò a identificare principalmente gli anglosassoni, i germanici e gli scandinavi. L'appartenenza alla razza bianca dei non-nordici (slavi, ecc.) era spesso messa in discussione. Ma erano soprattutto gli europei del sud, appartenenti alla presunta razza mediterranea, a sottostare alle condizioni peggiori, e in molti stati essi erano legalmente equiparati ai neri e privati, con diverse accentuazioni da stato a stato, dello status e dei diritti riservati ai soli bianchi. Persino gli irlandesi, a cui si attribuivano parziali origini mediterranee, erano oggetto di forte pregiudizio e discriminazione.Va però tenuto presente che in molti casi il preconcetto colpiva non tanto l'origine etnica, quanto la religione cattolica professata dagli immigrati "papisti", verso i quali la società puritana degli Usa conservava una fortissima ostilità.
Ad ogni modo, coloro che negli Usa le trovavano utili ai loro scopi accolsero e diffusero le teorie scientifiche razziste sfornate, nel XIX secolo, dagli scienziati europei per giustificare l'avventura colonialista, che caratterizzò la maggior parte del XIX secolo. Con una differenza, però. Gli europei usavano l'ideologia razzista per conquistare e sottomettere quasi esclusivamente popolazioni non europee (e il tabù in questo senso fu tale che i francesi arrivarono - sia pure dopo infinite polemiche - a decidere che gli ebrei che abitavano l'Algeria da loro conquistata erano da considerare europei, e concessero loro la cittadinanza francese, a differenza di quanto avvenne con gli "indigeni"). Al contrario, il razzismo statunitense, come detto, fu usato soprattutto ai danni di popolazioni abitanti nello stesso continente.
La mappa dell'eugenista Madison Grant nel 1916, mostra la distribuzione delle presunte "razze europee". L'Italia è divisa in due: al nord il territorio si compone della razza nordica (indicata in rosso) e di quella alpina o celtica (in verde), al centro-sud si compone della razza mediterranea (in giallo)

Negli Usa ebbe conseguenze storiche durature, negli anni 1920, la massiccia diffusione delle teorie dell'eugenista Madison Grant che saranno più tardi la principale fonte di ispirazione per le campagne di sterilizzazione forzata ed eutanasia forzata operate dal nazionalsocialismo tedesco.
La campagna ideologica di Grant raggiungerà l'obiettivo di fare chiudere le frontiere tra il 1921 e il 1924, e a partire dal 1924 di far restringere l'immigrazione dai paesi dell'est e del sud Europa, e di ostacolare quella ebraica. Questa decisione avrebbe avuto conseguenza catastrofiche durante la Shoah, nel corso della quale gli Usa respinsero caparbiamente i profughi ebrei, accogliendone per tutta la durata dell'Olocausto meno della sola città cinese di Shanghai (30.000).
A rendere politicamente possibile ciò fu il senatore del Massachusetts Henry Cabot Lodge[6], che fu tra i più fanatici sostenitori della Immigration Restriction League, che si opponeva all'immigrazione dei popoli di razza mediterranea. Cabot Lodge trovò il modo di aggirare la resistenza di coloro i quali non volevano limitare gli ingressi esplicitamente in base alla razza proponendo un escamotage: vietare l'ingresso agli analfabeti e modificare le quote di ingresso, stabilendo le nuove su quelle registrate oltre trent'anni prima, nel 1890. Con questa retrodatazione la quota complessiva d'ingresso dei mediterranei che avrebbe dovuto essere di diritto pari al 45% dei richiedenti fu ridotta a meno del 15% e tenendo conto che gli italiani erano il popolo più analfabeta d'Europa (con punte massime al sud) la quota riservata agli italiani divenne di molto più esigua. Per contro fu grandemente aumentata la quota consentita dai paesi nordici[6].
Dopo la crisi economica del 1929, con i disordini che ne seguirono e con il diffondersi del «pericolo comunista» la strategia politica cambiò, e negli ex stati confederati del sud, si adottarono teorie meno rigide, ispirate in gran parte da quelle europee. Così negli anni 1930, quando in quegli stati era ormai divenuto impossibile continuare a mantenere un così alto numero di immigrati europei fuori dalla élite dei bianchi - con il rischio peraltro di pericolose coalizioni coi neri - i segregazionisti estesero i diritti a tutti i «caucasici», gruppo razziale che includeva anche i mediterranei, e che era suddiviso in «White Caucasian» (caucasica bianca: anglosassoni, scandinavi e germanici) e «Caucasian» (caucasica). Oggi il termine «caucasico» viene esteso ad indicare indistintamente i «bianchi», tuttavia la suddivisione in «white caucasian» e «caucasian» è ancora ufficialmente in vigore nei metodi statistici di catalogazione in uso presso le istituzioni di molti stati americani.
Tutte le altre presunte razze non caucasiche invece rimasero escluse dai diritti civili per altri venti anni. Sarà negli anni 1960, a seguito delle numerose battaglie condotte dai moltissimi movimenti per i diritti civili, all'insurrezionalismo di Malcolm X e alla famosa marcia pacifica di Martin Luther King, che le leggi sulla segregazione razziale dei neri negli stati del sud verranno abolite dal governo federale, a quasi cento anni dalla loro entrata in vigore. Ciò avverrà nel 1964 con l'approvazione del Civil Rights Act e nel 1965 con il Voting Rights Act.

Membri del Ku Klux Klan utilizzano per terrorizzare le loro vittime la croce infuocata, simbolo della identità cristiana-protestante da loro rivendicata

Capitolo 7-differenze di genere e di età



Mascolinità e femminilità come dimensione cultuale di una società

In una ricerca internazionale molto estesa relativa ai valori culturali, Hoftede ha identificato un'unica dimensione culturale su cui gli uomini e le donne intervistati ( più di 40.000) discostano sensibilmente.
Analizzando le risposte alla seguente domanda: “Provate a identificare tra diversi fattori quelli che costituiscono un lavoro ideale secondo il vostro punto di vista?” trovò una polarizzazione delle risposte.

Per il punto di vista maschile erano molto importanti:
1) Il guadagno e l’opportunità di migliorarlo
2) Il riconoscimento inteso come l’ottenimento di approvazione conseguente ad un lavoro ben fatto
3) La carriera come opportunità di conquistare posizioni più elevate nella gerarchia aziendale
4) Le sfide relative ad un lavoro che dia la possibilità di misurarsi

Dall’altro lato, dal punto di vista femminile, si dava più importanza ai seguenti aspetti:

5) Lo stile del superiore gerarchico e la conseguente buona relazione che ne consegue
6) La cooperazione, intesa come stile prevalente diffuso nel gruppo di lavoro
7) La sicurezza del posto come possibilità di lavorare con la stessa azienda per un lungo periodo.

Nessuno degli altri elementi analizzati da Hofstede che sono distanza di potere, individualismo vs collettivismo, aggirare l’incertezza, mostrano una così grande differenza al maschile e al femminile come le attese relative al lavoro. In particolare gli uomini enfatizzano i punti 1 e 3, mentre le donne il 5 e il 6.

Da queste considerazioni Hofstede definisce la mascolinità e la femminilità come categorie di analisi di un contesto.
La prima la identifica con la capacità prevalente di essere assertivi, razionali e orientati al successo materiale; viceversa la femminilità di un contesto definisce il grado di empatia diffuso, la cooperazione e l’orientamento alla qualità della vita.
Queste sono delle caratteristiche riscontrabili in una realtà organizzativa indipendentemente dalla composizione di genere prevalente. Anche un contesto con molti uomini presenti può avere, per particolari motivi di formazione culturale, un orientamento femminile. Così come un contesto con molte donne può strutturare comportamenti prevalentemente maschili.

Affrontare le differenze di genere significa addentrarsi in un universo culturale.
Occorrono quindi diversi equilibri: bisogno leggere molto attentamente la realtà prima di giudicarla, bisogna soppesare con accuratezza gli eventuali stereotipi, infine bisogna evitare di appiattire le differenze.
Fatte queste premesse è molto interessante osservare come la mascolinità e la femminilità cambiano nelle diverse nazioni e, all’interno dei diversi contesti geografici, cambiano nel tempo.
Sono molte le conseguenze della visione del maschile e del femminile nelle diverse società: la divisione sociale del lavoro, il livello di condivisione del lavoro domestico, la possibilità di accedere a determinate posizioni, e così via.
Nella società occidentale spesso di tratta di sfumature. In altri contesti nascere maschi o femmine può significare molto di più: a volte la possibilità stessa di sopravvivere.

Se oggi in Occidente la donna è al pari con l'uomo non è per una naturale evoluzione della società,bensì grazie alle lotte e prese di posizione del movimento femminista.




Con il termine femminismo, in modo semplificativo, si può indicare
la posizione di chi sostiene la parità politica, sociale ed economica tra i sessi, ritenendo che le donne sono state e che tuttora sono, in varie misure, discriminate rispetto agli uomini e ad essi subordinate;
la convinzione che il sesso biologico non dovrebbe essere il fattore pre-determinante che modella l'identità sociale o i diritti sociopolitici o economici della persona;
il movimento politico che ha rivendicato e rivendica pari diritti e dignità tra donne e uomini e che –in vari modi- si interessa alla comprensione delle dinamiche di oppressione di genere.
Il femminismo è, di fatto, un movimento complesso ed eterogeneo, che si è sviluppato con caratteristiche peculiari in ogni paese ed epoca. Molti fattori contribuiscono a definire e ri-definire il concetto di femminismo e le pratiche politiche ad esso connesse ( ad esempio classe, etnia, orientamento sessuale). Al suo interno ci sono quindi diverse posizioni e approcci teorici, tant’è che ad oggi alcune studiose, teoriche e/o militanti femministe parlano di ‘femminismi’.
Vi sono teorie contrastanti riguardo all'origine di questa subordinazione ed in merito al tipo di percorso da portare avanti per liberarsene: se lottare solo per le pari opportunità tra uomini e donne o anche sulla necessità o meno di criticare radicalmente le nozioni di "identità sessuale" e "identità di genere, oppure per eliminare alla radice i ruoli, la subordinazione e/o l'oppressione femminili.
Il femminismo è criticato dalle correnti "antifemministe" del "movimento degli uomini".
Dal 1970 al 1980 il movimento femminista occidentale comincia a porsi obbiettivi rivoluzionari, negli Usa, in Francia, Germania, Italia, ecc. Il via viene dato, sempre negli Usa, nel 1969 dall'uscita del libro di Kate Millet, Sexual politics, portabandiera della corrente radicale del femminismo, secondo la quale i rapporti tra i sessi sono rapporti di potere e il patriarcato tuttora vigente è un sistema di oppressione contro le donne.
Negli anni anni Settanta il movimento delle donne, almeno nella sua parte maggioritaria, ha centrato le sue pratiche politiche dall'analisi della soggettività, che pure permane ancora oggi in alcuni gruppi, a un ambito sociale lottando per la conquista di più ampi diritti civili che hanno portato in Italia all'introduzione del divorzio nel 1970, alla modifica del diritto di famiglia nel 1975, all'istituzione dei consultori familiari, alla legge sulle pari opportunità, alla liberalizzazione dei contraccettivi e all'approvazione della legge che regola l'aborto nel 1978, alla costituzione dei Centri antiviolenza e alle Case delle donne.
Il femminismo ha pertanto rimesso in discussione, con un'analisi politica "a partire da sè" ( autocoscienza), tutti i settori della società, della quale contestava l'aspetto ed il carattere fortemente maschilista, ed il fatto di essere retta su discriminazioni di sesso individuando i nessi esistenti tutt'oggi tra la sessualità e i poteri.


Capitolo 6-stratificazione,classi sociali e mobilità


Stratificazione sociale: sistema delle disuguaglianze sociali di una società sotto l’aspetto distributivo delle ricompense materiali e simboliche e relazionale riguardo ai rapporti di potere esistenti tra di essi.
Strato è un insieme di individui che godono della stessa quantità di risorse o che occupano la stessa posizione nei rapporti di potere.
Lenski ha teorizzato le condizioni che favoriscono le disuguaglianze sociali: esse erano minime nelle società dedite a caccia e raccolta, sono diventate ampie nelle società orticole, più estese in quelle agricole per poi diminuire in quelle industriali. In pratica la disuguaglianza aumenta con l’aumentare del surplus produttivo economico e con l’aumentare della concentrazione del potere politico.
Teorie della stratificazione. Teoria funzionalista. La principale necessità funzionale che spiega la presenza universale della stratificazione è l’esigenza di collocare e motivare gli individui nella struttura sociale. L’esistenza delle disuguaglianze è inevitabile e necessaria al buon funzionamento della società. Non tutte le posizioni hanno la medesima importanza funzionale, alcune sono più rilevanti e richiedono capacità speciali, appannaggio di poche e limitate persone; la conversione delle capacità in competenze poi richiede un periodo di addestramento con dei costi e dei sacrifici da parte di chi vi si sottopone, sforzi questi che vanno ricompensati materialmente e moralmente.
Teorie del conflitto. Viene qui negata la funzione vitale della stratificazione a favore di una situazione di conflitto continuo tra classi.
- Marx introduce nel 1848 il concetto di classe sociale senza lasciarne una definizione formale. La base delle classi è sempre economica, il suo asse portante si trova nei rapporti di produzione e nelle relazioni di proprietà. Nella società borghese il capitale industriale è la forma più importante di proprietà ed è detenuta dai borghesi, mentre i proletari non hanno che la loro forza lavoro. Le classi di Marx sono raggruppamenti omogenei di persone che hanno gli stessi livelli di istruzione, consumo, valori, credenze, abitudini, concezione della vita. La coscienza di classe emerge solo quando la classe si trasforma da classe in sé a classe per sé, prendendo coscienza di condividere interessi.
- Weber ha elaborato una teoria della stratificazione a più dimensioni individuando le fonti delle disuguaglianze in tre sfere: l’economia (interessi materiali comuni → classi sociali), la cultura (interessi ideali comuni → ceti ) e la politica (partiti o gruppi di potere per il controllo dell’apparato di dominio). Anche per Weber la definizione di classe è legata al possesso o alla mancanza di possesso, ma il criterio di fondo per l’appartenenza è la situazione di mercato: a) del lavoro, in cui si contrapponevano classe operaia e imprenditori; b) del credito, con debitori e creditori; c) delle merci, con consumatori e venditori. Weber distingue poi classi possidenti e classi acquisitive, privilegiate positivamente o negativamente: le possidenti privilegiate positive sono i redditieri che hanno miniere, navi, impianti, terre, le possidenti privilegiate negative sono i nullatenenti, in mezzo stanno le classi medie con limitate competenze professionali e piccole proprietà. Le classi acquisitive privilegiate positive sono gli imprenditori e i professionisti di alto livello, le acquisitive privilegiate negative sono i lavoratori.
I ceti entrano nella sfera della cultura e sono comunità con lo stesso stile di vita e un forte senso di appartenenza e si distinguono per il diverso grado di prestigio di cui godono; ogni ceto esige una condotta di vita particolare adeguata alla valutazione del gruppo (onor di ceto).
Le relazioni tra classi e ceti sono complesse: alcuni ceti nascono in seno alle classi, altri le trascendono; le classi sono più eterogenee e hanno origine dalla divisione del lavoro, i ceti sono di origine etnica, religiosa o culturale e tendono a fenomeni di chiusura sociale.
- Lenski e i sociologi americani propongono il principio dello squilibrio di status per una spiegazione pluridimensionale della stratificazione sociale. In ogni società esiste una pluralità di gerarchie (di reddito, di potere, di istruzione, di prestigio) ed ognuno occupa una posizione in queste classifiche: si ha equilibrio se la persona si trova in ranghi equivalenti nelle diverse gerarchie e di squilibrio nel caso opposto (nobile decaduto, industriale analfabeta, laureato spazzino). Lo squilibrio però necessita anche di contrasto con le aspettative della società ed è causa di frustrazioni e tensioni sociali che possono provocare isolamento sociale, disturbi psicosomatici o radicalizzazione.
La società moderna è caratterizzata dall’eguaglianza di diritto per tutti i suoi membri, ma questa non è un’eguaglianza fattuale.
Classificazione di Sylos Labini: è centrata sul tipo di reddito e vede tre grandi categorie di reddito: la rendita dei proprietari fondiari, il profitto dei capitalisti e il salario dei lavoratori; a queste si affiancano i redditi misti da lavoro e capitale (lavoratori autonomi), gli stipendi degli impiegati e i redditi dei lavoratori saltuari. Da queste categorie derivano cinque classi sociali, suddivise poi in sottoclassi:
- Borghesia, formata da grandi proprietari, imprenditori, alti dirigenti e professionisti.
- Piccola borghesia relativamente autonoma, composta da lavoratori autonomi dei tre grandi settori di attività.
- Classe media impiegatizia, impiegati pubblici e privati.
- Classe operaia, braccianti e operai dell’industria e del terziario.
- Sottoproletariato, composto da coloro che sono disoccupati, quindi fuori dalla sfera della produzione.
Classificazione di Goldthorpe: si basa su due criteri: la situazione di lavoro e la situazione di mercato, la prima si riferisce alla posizione nella gerarchia organizzativa degli individui in quanto inseriti in una posizione occupazionale; la seconda è il complesso di vantaggi e svantaggi, materiali e simbolici, di cui godono i titolari dei vari ruoli lavorativi (livello di reddito, possibilità di carriera, stabilità del posto). In base alle relazioni di lavoro gli occupati si distinguono in tre grandi categorie: imprenditori, che acquistano il lavoro altrui e lo controllano, lavoratori autonomi senza dipendenti, che non comprano e non vendono lavoro, lavoratoti dipendenti, che vendono il proprio lavoro.
Tenendo conto della situazione di mercato e del settore di attività economica si giunge ad uno schema a sette classi:
I – grandi imprenditori, professionisti e dirigenti di alto livello con redditi elevati, carriera, autonomia decisionale e autorità.
II – professionisti e dirigenti di livello inferiore
III – impiegati e addetti alle vendite
IV - piccola borghesia urbana e agricola con notevole autonomia di lavoro e differenti livelli di reddito e di sicurezza
V – tecnici di livello più basso con reddito decente e discreta sicurezza di lavoro
VI – operai specializzati di tutti i settori
VII – operai non specializzati di tutti i settori.
L’evoluzione della stratificazione delle classi sociali ha vissuto un’impennata negli ultimi due secoli con il declino delle classi agricole a favore della classe operaia a sua volta contrattasi per lo sviluppo del sistema terziario e della classe media impiegatizia: questa, come le altre vende il proprio lavoro, ma non ha contatto con le cose, bensì con le persone e i simboli, ed ha bisogno di un periodo di qualificazione.
I processi di proletarizzazione e di deproletarizzazione portano, i primi, al passaggio dalla piccola borghesia al proletariato, dall’autonomia alla dipendenza, i secondi, vanno nel senso opposto.
Negli ultimi anni si assiste alla divaricazione sociale, con un aumento del dislivello tra una classe di dirigenti e professionisti e una di “Macjobs” con bassissimo livello di qualificazione, soprattutto nei servizi al consumatore, occupato da figure marginali del mercato.
Al di sotto e al di fuori degli schemi di classificazione vi sono i disoccupati, una sottoclasse costituita da persone in stato permanente di povertà e dipendenza dall’assistenza pubblica. Fra questi ve n’è una quota culturalista (ragazze madri, espulsi dalla forza lavoro, delinquenti) figlia del welfare state e della rassegnazione che ingenera; e una quota strutturalista che nasce da una debolezza di fondo dell’economia che non fornisce più un numero sufficiente di posti di lavoro poco qualificati.
Distribuzione dei redditi. Reddito è quello che gli individui ricavano da salari, profitti, rendite, distinto dal patrimonio che è costituito da tutti i beni mobili e immobili posseduti. Il coefficiente di Gini misura le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse economiche: se è uguale a 0 sta ad indicare che ogni famiglia riceve esattamente lo stesso ammontare di reddito di tutte le altre (massima uguaglianza), sennò misura lo scarto percentuale. Tale scarto varia molto di nazione in nazione, con minimi in Giappone e paesi scandinavi e massimi negli USA.
L’elevata corrispondenza (inversamente proporzionale) tra classe sociale e tasso di mortalità evidenziata nel secolo scorso non si è modificata con il miglioramento del welfare e delle condizioni sociali e sanitarie: la ragione è che persistono nelle classi inferiori stili di vita e occupazioni più rischiose e che in quelle elevate è diminuito ancor più il tasso di mortalità.
Mobilità sociale: passaggio di un individuo da uno strato, ceto, classe sociale ad un altro. Si distinguono al suo interno la mobilità:
- Orizzontale, passaggio da una posizione sociale all’altra dello stesso livello.
- Verticale, spostamento ad una posizione più alta o più bassa nel sistema di stratificazione.
- Di lungo raggio, spostamento verticale tra classi distanti tra loro.
- Di breve raggio, spostamento verticale tra classi contigue.
- Intergenerazionale, spostamento in confronto alla posizione della famiglia di origine.
- Intragenerazionale (di carriera), spostamento di un individuo nel corso della propria esistenza.
- Assoluta, numero complessivo di persone che si spostano da una classe all’altra.
- Relativa (fluidità sociale), grado di eguaglianza delle possibilità di mobilità dei membri delle varie classi; è tanto maggiore quanto meno la classe di origine esercita influenza sui destino sociali degli individui.
- Individuale, comprende tutte le forme esaminate finora.
- Collettiva, esprime i movimenti di interi gruppi rispetto a tutti gli altri gruppi sociali.
In Italia la mobilità sociale assoluta è stata molto forte negli ultimi decenni, per la contrazione della classe agricola e l’aumento di quella impiegatizia; si arriva fino al 59% della popolazione, con fenomeni generalmente a breve raggio. Negli altri paesi occidentali tali fenomeni hanno avuto ritmi e tempi diversi secondo l’entità del processo di industrializzazione, ma non vi è comunque una tendenza costante all’aumento o alla diminuzione di mobilità parallelo allo sviluppo economico.
Nei paesi occidentali vi è invece una forte mobilità intergenerazionale, anche se non vi è automaticamente un aumento della fluidità, quanto piuttosto un aumento delle dimensioni e dell’ampiezza di tali classi.



APPROFONDIMENTO:



Le caste sociali in Italia -scritto da Bruno Zarzaca







Viviamo in un sistema di caste? Temo di sì e mi spiego.
Nel 1974 esce il Saggio sulle classi sociali di Paolo Sylos Labini: un contributo alla conoscenza della società italiana del Novecento pubblicato in un momento di profonda crisi del Paese. Dopo trent'anni, mutatis mutandis, ci arrovelliamo sugli stessi problemi strutturali (torna il tema demodoxalogico della spirale della storia): Mezzogiorno, oligarchie, burocrazia, clientele, corruzione minano ancora oggi le fondamenta del sistema Italia. E torna il rischio di un conflitto civile poiché una discutibile distribuzione della ricchezza produce ancora differenti cittadinanze. All'epoca Sylos Labini individua tre grandi gruppi di classi sociali distinguendo le modalità del loro reddito: borghesia (redditieri, professionisti, imprenditori), piccola borghesia (impiegati, commercianti, agricoltori, militari, religiosi), classe operaia e sottoproletariato. Siamo più nella tradizione di Karl Marx, che guarda solo al rapporto con i mezzi di produzione, piuttosto che di Max Weber, che propone un concetto multidimensionale di classe sociale basato sulla ricchezza, il prestigio e il potere.
-Quello della stratificazione sarebbe un aspetto comune a tutte le società umane, anche se qualcuno sostiene possano esistere comunità egualitarie: così nel corso della storia, tra l'altro, l'umanità ha conosciuto la schiavitù (nelle civiltà antiche e poi in America), i ceti (nobiltà, clero, terzo stato in Europa), le caste (in India). Si tratta di raggruppamenti di fatto e di diritto dove la mobilità sociale è quasi nulla. Le classi sociali moderne, invece, in quanto raggruppamenti de facto ma non de iure, dovrebbero garantire l'uguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro appartenenza sociale.Guardando oggi alla situazione italiana, dunque, bisognerebbe parlare di caste piuttosto che di classi sociali. E l'uso del concetto di "casta" non sarebbe improprio come in altri tempi e contesti.Lo hanno utilizzato recentemente anche Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella pubblicando La casta, una documentata inchiesta sui misfatti della nostra classe politica. Solo per il marketing della Rizzoli che attribuisce (sic) l'intoccabilità dei paria ai nostri "insaziabili bramini" ricorderò che le tradizionali caste indù sono quattro: bramini (sacerdoti), ksatriya (aristocratici e militari), vaisya (agricoltori e imprenditori), sudra (servitori e operai). All'esterno di questo sistema stanno i paria, i fuoricasta (addetti ai lavori considerati impuri): sono loro gli "intoccabili". Naturalmente nell'India moderna le discriminazioni legate alle caste sono illegali, ma la stratificazione non è scomparsa e si è articolata in innumerevoli nuove caste e sottocaste.Possiamo dunque parlare di caste anche in Italia. Quella politica infatti è la più importante ma non l'unica: è quella che regola ex lege l'intero sistema e spartisce ricchezza e privilegi inverecondi tra poteri che l'ordine democratico vorrebbe separati. Così che gli interessi di politici, magistrati e giornalisti risultano scandalosamente intrecciati: sono loro la "casta dirigente" di borghesissima origine, figlia del familismo amorale studiato da Edward C. Banfield, che infesta anche imprenditoria e finanza. Poi ci sarebbero le caste intermedie, quelle delle altre corporazioni, dai notai fino ai tassisti... Qui il discorso si farebbe lungo e non esaurirebbe l'analisi del sistema delle caste che in Italia è tanto articolato quanto pernicioso: lo dimostrano le recenti tentate "liberalizzazioni" del ministro Bersani. Concludiamo allora con i fuoricasta, precari e sottoprecari le cui inumane condizioni di vita e di lavoro sono allo stesso tempo voraci germi del conflitto e impalpabile strumento di controllo.Lo scrivevo qualche anno fa in forma di blog:
Sono insopportabili i danni provocati dai terribili eventi prodotti dalla disperazione dei più contro l'incapacità dei pochi. Quei pochi arroccati a difendere inutili privilegi, giacché sotto le mentite spoglie di una democrazia formale (e irrealizzata) si consumano ignobili delitti contro l'ambiente umano, orribili misfatti a vantaggio delle stesse élite favorite dagli imperi e dalle dittature. Così il mai fluido sistema delle classi sociali si è incancrenito in caste: i confini tra le comunità umane diventano solchi, rughe di un sodalizio spinto al declino dai conflitti d'interesse, trincee sanguinose per conquistare quel che resta di un capitale che non si riproduce più in abbondanza. E la distribuzione della ricchezza è vieppiù furto perpetrato con destrezza dalle lobby affaristiche del teatrino politico. La giustizia è messa all'asta nel libero mercato: gli affari inumani richiedono leggine avverse a qualsiasi etica. Del resto, la dignità è concessa per via dinastica: chi non ha padrini è condannato all'ergastolo della precarietà. Perfino i sentimenti sono un lusso per chi non può permettersi un rifugio per l'intimità e un reddito per il futuro. La mafia del familismo liquida ogni altra speranza: sul ponte sventola bandiera ipocrita la cooptazione... Ma che bel regime democratico!
(www.tvtanic.com)
Zygmunt Bauman sostiene che la nostra è una postmodernità liquida: dissolve vecchie "solidità" come quelle religiose, specialmente con gli strumenti della comunicazione, ma mantiene saldi i rapporti di classe sostenuti dal primato dell'economia. Insomma, la stratificazione sociale resisterebbe perfino al cambio di paradigma e ancora una volta sarebbero le leggi di mercato a regolare le sporche faccende. E allora, mentre la giustizia (per chi se la può permettere) è ormai solo un punto di vista, bisognerebbe chiedersi che ruolo giochino i media - specialmente quelli mainstream - in questa strenua difesa di uno status quo indifendibile... La disinformazione sculetta e adesca in televisione come su internet: credo sarebbe utile un onesto interesse "critico" su questi temi.



Uno dei più antichi e più complessi sistemi di stratificazione sociale è il sistema castale indiano.


Le caste indiane erano raggruppate in quattro grandi categorie, dette varna ("colore"), di cui la più elevata era quella dei brahmani. A queste si aggiunse in seguito quella degli "intoccabili", così chiamata perché, secondo la religione induista, il contatto con i suoi membri faceva perdere la purezza; Gandhi, che ne sposò la causa, li rinominò harijan, "popolo di Dio". Formalmente abolito nel 1950, il sistema castale continuò a esercitare una notevole influenza, soprattutto tra le classi più basse e nelle campagne.


Caste in India
Le caste indiane erano raggruppate in quattro grandi categorie, dette varna ("colore"), di cui la più elevata era quella dei brahmani. A queste si aggiunse in seguito quella degli "intoccabili", così chiamata perché, secondo la religione induista, il contatto con i suoi membri faceva perdere la purezza; Gandhi, che ne sposò la causa, li rinominò harijan, "popolo di Dio". Formalmente abolito nel 1950, il sistema castale continuò a esercitare una notevole influenza, soprattutto tra le classi più basse e nelle campagne.